Recentemente il National Screening Committee inglese ha approvato un semplice test del sangue per individuare la Sindrome di Down.
Questa è una notizia positiva, certamente, se si pensa a meno test invasivi e minore rischio di aborto spontaneo.
Bisogna considerare però che il 90% delle donne che viene a sapere di aspettare un bimbo con la Sindrome di Down abortisce.
Nel 2014 ci sono stati 693 aborti per questo motivo, è stato registrato un rialzo del 34% dal 2011.
Gli americani pensano addirittura che andando avanti così si arriverà all‘estinzione delle persone con la Sindrome di Down.
Mentre è indiscutibile il diritto delle donne a fare la loro scelta, a volte la paura di crescere un figlio disabile viene trasmessa dalla società.
Ecco quindi 3 false credenze sulla Sindrome di Down che vanno corrette e di cui tutti dovrebbero essere al corrente.
Sindrome di Down: 3 miti da sfatare per scongiurare l’estinzione delle persone con un cromosoma in più
Mito n°1: la Sindrome di Down è una malattia imbarazzante.
No, non lo è, è dovuta a un cromosoma in più presente nelle cellule del bimbo. Non viene ereditata, non viene presa come si prende un raffreddore e non è dovuta agli errori fatti dai genitori. Non c’è niente di vergognoso al riguardo e le persone non soffrono per questo. Ci convivono.
Mito n°2: i bambini con la Sindrome di Down muoiono giovani.
Questo succedeva una volta, ed è vero che sono suscettibili di problemi come difetti al cuore e sordità. Ma grandi miglioramenti nelle cure provano che la maggior parte delle persone con la Sindrome di Down arriva a 60 anni, conducendo vite molto attive.
Mito n°3: i bambini con la Sindrome di Down rimangono bambini per sempre.
Non lo fanno. Diventano adulti come tutti gli altri con le stesse emozioni, preoccupazioni e gioie. La cosa importante da ricordare è che ogni caso è unico e che ciascuno individuo si sviluppa secondo le proprie capacità.
Jamie Brewer, attrice e modella con la Sindrome di Down è un esempio di tutto questo. Ed anche la stessa nostra Nicole Orlando. la pluricampionessa olimpica.
Le donne dovrebbero poter fare una scelta consapevole in cui entrambe le opzioni sono ben chiare, e oggi non avviene.
Nel caso i genitori decidessero di tenere il bambino dovrebbero sapere di non essere soli nell’allevare un figlio che potrebbe dare il suo contributo al mondo.
Certo, ci saranno anche delle sfide, ma la qualità di vita viene definita anche dal modo in cui si reagisce al dolore come individui e comunità.
La società fa molte pressione sui singoli individui affinché la loro vita sia il più perfetta possibile, quasi come se questa non avesse un valore se non goduta in piena salute e senza nessun dolore.
La forza morale di una società si ravvisa però nel modo in cui tratta le persone più vulnerabili e nel modo in cui si guarda a qualcuno diverso dalla massa vedendoci della bellezza.
Unimamme e voi avete mai pensato a questi 3 miti sulla Sindrome di Down?