In Italia il congedo parentale è ancora un tabù culturale: sono pochissimi gli uomini che pur avendone diritto ne usufruiscono, complici il fatto che resiste ancora la divisione tradizionale dei ruoli (la donna accudisce i figli, il marito porta a casa la maggior parte dello stipendio) e la paura di un arresto nella carriera. Eppure qualche padre che vuole contribuire più attivamente all’educazione dei figli c’è, ma cosa succede quando questo diritto viene negato “solo” perché la mamma non lavora e si occupa dei bambini a tempo pieno?
La Corte d’Appello di Venezia ha condannato il Ministero dell’interno a pagare i danni a un dipendente della Questura, che si era visto negare il congedo visto che la mamma non ha un impiego.
Congedo parentale: storica sentenza
Per fortuna la Corte d’Appello ha ribaltato una sentenza che in sé ne conteneva un’altra: essere mamma a tempo pieno non può essere paragonabile ad un lavoro, come se occuparsi della casa e dei figli non fosse ugualmente faticoso.
Sapete che le madri dovrebbero ricevere uno stipendio di 7000mila euro al mese per tutto ciò che fanno? Quante volte – le donne stesse che scelgono di non lavorare – vengono considerate delle scansafatiche perché stanno a casa?
I tempi cambiano e anche la società. Pertanto è giusto e sacrosanto che anche i padri si occupino dei propri figli, non delegando tutto alla mamma.
Ecco alcuni stralci della sentenza: “anche le madri casalinghe, in ragione dell’ormai riconosciuta equiparazione dell’attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa (…) non esclude, ma al contrario, comprende, com’è ormai consolidato le cure parentali, poiché esso oblitera l’innegabile circostanza dell’estrema difficoltà di cura della prole anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli specie nel primo anno di vita“.
E ancora: “Del resto, proprio poiché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un lavoratore dipendente, è del tutto incongro dedurne, come ha fatto il Giudice di primo grado, l’oggettiva possibilità di conciliare le delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico“.
Insomma: essere mamma casalinga non vale meno di essere mamma lavoratrice, considerando che quella che lavora ha anche alcuni sacrosanti diritti, come le ferie pagate o la malattia.
E voi unimamme cosa ne pensate?