Che in Italia fossimo abituati alla malasanità era una cosa ormai assodata ma che, addirittura, ci si potesse imbattere in medici che diagnosticano a una donna incinta la morte del bimbo che porta in grembo per venire poi sbugiardati è davvero il colmo.
Aborto ed ecografie
E già, è proprio così, pochi mesi fa un medico ginecologo ha detto a una donna in stato di gravidanza che il feto era morto ma la stessa si è rifiutata di abortire, mettendo anche a serio rischio la sua salute.
È la storia di Maria, una futura mamma, che si reca al Pronto Soccorso del San Giovanni Calibita Fatebenefratelli, a Roma, per alcune perdite ematiche, e si sente dire che il feto è morto e che non le resta altro che la via dell’aborto terapeutico. Purtroppo, dicono i medici del Pronto Soccorso, il cuoricino con batte e l’ecografia è piatta. Maria non vuole accettare la diagnosi e scoppia in lacrime e una dottoressa le propone un’alternativa all’intervento, ovvero assumere un farmaco che le provocherà l’espulsione del feto. Maria decide di seguire questa strada, si reca in farmacia compra il farmaco ma qualcosa, o “qualcuno”, le impedisce di prenderlo.
Il giorno dopo si reca dal suo medico di base, specialista in ginecologia, per chiedere il suo parere e questi le dice che quanto diagnosticatole al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli, nonostante le analisi e l’ecografia, gli sembra troppo frettoloso. Infatti la sua dottoressa dice a Maria “È vero il battito non c’è, ma la gravidanza è appena cominciata. Aspettiamo una settimana per capire se c’è stato o meno l’aborto interno”. La settimana successiva la ”sentenza” è di tutt’altro tenore: l’embrione è vivo e cresce. La diagnosi fatta al pronto soccorso era errata, come si legge su La Stampa.
Certo quello che risalta agli occhi è che ci sono una serie di inesattezze su quanto detto che riguardano proprio la terminologia utilizzata:
- a inizio gravidanza non si parla di feto ma di embrione;
- non è corretto definire un’ecografia “piatta”;
- non si può parlare di “aborto terapeutico” perché questa definizione si riferisce a un parto indotto dopo i 90 giorni di gestazione, se si sospettano anomalie nel nascituro o di rischi per la salute della gestante (secondo la legge 194/78).
Tutto questo scritto finora ci deve far riflettere su quanto sia importante, a volte, non accettare la prima diagnosi, soprattutto se si tratta di gravidanza. Nella pratica clinica, infatti, spesso può succedere che i risultati di un’ecografia possano essere disattesi, sia in una direzione che nell’altra, ovvero un buon risultato può diventare pessimo e viceversa.
Concludendo è possibile riassumere
- nei casi dubbi è CONSIGLIABILE attendere il successivo controllo ecografico da ripetere dopo una settimana, se il risultato è invariato allora la diagnosi di aborto è certa;
- mai basarsi solo sui risultati delle beta-HCG, poiché non sempre sono affidabili. RICORDATE che l’esame più importante è sempre e comunque l’ecografia;
- evitare di ricorrere a farmaci che inducono l’espulsione del feto o a raschiamento finchè non si è sicuri al 100% che il feto abbia smesso di “vivere”.
In questo caso il bimbo è nato solo per volontà di questa mamma, testarda e ostinata che un pò per paura è un pò per una consapevolezza tutta materna ha deciso di chiedere il parere ad altri medici. Brava Maria!
Il senso materno ha avuto la meglio, quel qualcosa di inspiegabile e di meraviglioso che solo noi mamme riusciamo a comprendere, convenite con me care unimamme? Cosa ne pensate di questa storia?