Qualche volta mi sono chiesta: “Se morissi, vorrei che mi esportassero gli organi?” La risposta è sì: tanto sarei morta e non sentirei nulla. La mia morte non mi spaventa: spero che arrivi il più tardi possibile, ma certamente sarei più preoccupata per coloro che rimangono. E’ la dipartita altrui che mi suscita qualche perplessità, per usare un eufemismo.
Non oso pensare a cosa significhi per un genitore sopravvivere ai propri figli, soprattutto quando sono ancora bambini. Non si può cancellare quel dolore, è sempre lì e forse non so se sia possibile trovare una ragione per andare avanti.
Ilse Fieldsend ha dovuto farlo: sua figlia Georgia, 3 anni appena, si è spenta 6 mesi fa – poco prima della vigilia di Natale – a causa di un aneurisma. E’ stato tutto molto veloce: la bambina si è sentita male mentre la famiglia si trovava in vacanza in Egitto. Purtroppo è arrivata in ospedale già in fin di vita, ma i genitori, Ilse e James hanno tentato il tutto e per tutto decidendo di trasportare Georgia al King’s College Hospital, visto che i Fieldsend abitano in Inghilterra.
Purtroppo non c’è stato nulla da fare e il cuore di Georgia si è fermato 15 minuti dopo aver staccato le macchine. Quando ormai era chiaro che la bimba non sarebbe sopravvissuta, i genitori hanno deciso – in un atto di estremo coraggio – di donare i suoi organi:
- fegato,
- reni,
- cornee
- e le valvole cardiache.
Certo questo non porterà la bimba di nuovo in vita, ma Ilse si consola pensando – come ha raccontato al Telegraph – che il suo gesto ha salvato altri bambini, tra cui un neonato.
La cultura della donazione, soprattutto per i bambini più piccoli, non è ancora molto diffusa: basti pensare che solo l’anno scorso in Gran Bretagna sono morti 112 bimbi per la mancanza di organi. Certamente bisogna avere una grossa forza e superare l’angoscia che un momento così doloroso può comportare. Da mamma io non lo so come si fa, ma forse in questo dolore senza nome “si può trovare un po’ di pace” come ha detto Ilse.
E voi unimamme, cosa ne pensate?