Maria, Francesca, Luisa, Anna, Monia sono mamme, mamme che non hanno un lavoro e che faticano a far quadrare il bilancio a fine mese. Eppure tutte queste mamme vorrebbero tanto poter contribuire al ménage familiare ma questo non è possibile.
Perché? Presto detto. Il lavoro in Italia è ormai diventato precario e, come se non bastasse, i servizi che renderebbero più agevole la ricerca stessa di un’occupazione sono scarsi e, spesso, troppo onerosi. Un asilo pubblico, quando ha disponibilità, per esempio costa tanto. Troppo per una famiglia che è costretta a fare rinunce e salti mortali per riuscire ad andare avanti.
La giornalista Elisabetta Ambrosi, nel suo libro “Guerriere – La resistenza delle nuove mamme Italiane“, dipinge un quadro ben definito delle donne, come si legge su il Fatto Quotidiano. Di quanto sia difficile poter far conciliare famiglia e lavoro e di quanto sia complicato scegliere di avere un figlio.
È triste dirlo ma, purtroppo, sempre più spesso le donne italiane prima di decidere di “tirar su” famiglia e fare figli si ritrovano a dover fare i conti con il proprio portafogli. Un figlio costa e se una volta funzionava l’antico adagio “dove mangiano due mangiano anche in tre” oggi è tutto messo in discussione.
Come si evince dall’ultimo rapporto annuale Istat 2014, l’occupazione femminile è in netto calo e pensare che già nei dati Istat del 2012 era già un dato allarmante.
Anche i contratti atipici, quelli cioè che non garantiscono una certa continuità, hanno subito una drastica diminuzione.
Naturale conseguenza di tutto ciò è che, sempre con maggiore frequenza, le famiglie si ritrovano a dover “rinunciare” a un altro figlio, poiché non sarebbero in grado di garantirgli un futuro degno e decoroso.
Una tra tante la storia di Maria, un giovane donna di 35 anni con un contratto a tempo determinato non rinnovato “Come faccio a cercare lavoro se devo allo stesso tempo tenere mio figlio? I criteri dei nidi sono assurdi, il mondo è cambiato, dovrebbero cambiare anche loro. Mio marito lavora come architetto in uno studio che lo paga 900 euro al mese e io non posso cercare altro perché non abbiamo diritto a un posto al nido per nostro figlio”, infatti il comune di Roma, dove Maria abita, assegna il massimo punteggio a genitori lavoratori mentre considera disoccupati e in cerca di lavoro alla stessa stregua.
Numerose le lamentele registrate dalla Ambrosi nel suo libro come quella di Maura, una traduttrice libera professionista che dice “Ma come si fa a fare un figlio, che ha bisogni a tempo indeterminato, se il contratto è a tempo determinato? In gravidanza ho preso un una tantum ridicolo, mentre quando mi sono fratturata il bacino in un incidente con il motorino sono rimasta a casa, senza guadagnare nulla, perché noi lavoratori autonomi non abbiamo né malattia né tutele di altro tipo. Anzi, lo stato ci considera evasori, e il governo non ci ha concesso neanche gli 80 euro”. Come darle torto!
Lavoro femminile, dati e statistiche
Le statistiche riguardo la disoccupazione femminile sono davvero catastrofiche, infatti, tra le donne con un’età compresa tra i 15 e i 49 anni
- in Italia lavora solo il 46,5%,
- in Gran Bretagna lavora il 66%
- in Francia il 60%
anche il tasso di natalità è di gran lunga inferiore rispetto a questi due ultimi paesi, un triste 1,42 contro un 1,9 e oltre 2 figli di Gran Bretagna e Francia.
Un altro dato sconcertante che si evince riguarda le donne che hanno perso il lavoro dopo la loro gravidanza che
- dal 18,4% del 2005,
- al 22.3% nel 2013.
Chiara Saraceno e Manuela Naldini, due sociologhe della famiglia, sostengono che “Chi svolge un lavoro a tempo determinato ha meno probabilità di avere figli nel futuro, mentre tra chi ha figli un’occupazione a termine fa aumentare la tensione in famiglia”.
Purtroppo, oggi, vivere con un solo stipendio non è più possibile e la mancanza di servizi, primi tra tutti gli asili, rendono ancora più difficile la situazione familiare. Riuscire a frequentare un asilo pubblico è un’impresa per pochi poiché si devono rispettare alcune graduatorie e anche riuscendoci i costi, nel nord Italia, sono equiparabili agli asili privati.
Francesca, una mamma milanese lamenta il suo status di lavoratrice part time separata dal marito dicendo “Ho un Isee che non arriva a trentamila euro, eppure lo Stato mi considera ricca, e il mio comune mi fa pagare l’asilo nido quasi cinquecento euro al mese, di cui posso scaricare una parte ridicola. Io per prima, come tantissime amiche, devo rinunciare ad avere un secondo figlio. O comunque aspettare che il primo esca dal nido per averne un altro, impensabile pagare due rette”.
In questa ragnatela di difficoltà, economiche, lavorative e di gestione, le mamme devono riuscire a districarsi per trovare la soluzione ai loro problemi. Soluzione che, almeno per quanto riguarda la parte economica, la maggior parte delle volte si trova nell’aiuto da parte dei nonni e delle loro pensioni.
E già sembra di vivere nel paese delle contraddizioni dove tutti vorrebbero avere famiglie con più figli ma dove non è possibile a causa della mancanza del lavoro e dei servizi.
Il nostro primo ministro Matteo Renzi ha promesso di prendere provvedimenti per la famiglia e, nello specifico, ha promesso di creare mille asili in mille giorni, e inoltre anche la sostituzione, annunciata nel Jobs Act, delle detrazioni per il coniuge a carico con un tax credit per incentivare il lavoro femminile. Ma quando tutto ciò diventerà realtà?
E voi, unimamme, cosa ne pensate di quanto letto? È giusto, secondo voi, che una donna debba rinunciare alle sue soddisfazioni personali, lavorativamente parlando, perché lo Stato non la tutela?
Io per prima, un po’ di anni fa, sono stata costretta a scegliere tra famiglia e lavoro (avevo un contratto a tempo indeterminato). Chiaramente ho scelto la famiglia (ero in attesa di due gemelli e con una bimba di tre anni) ma solo perché avrei speso molto più di quello che guadagnavo in asilo. In tutta onestà avrei preferito non dover scegliere. Se tornassi indietro cosa farei? Probabilmente la stessa scelta. Follia o amore? Ai posteri l’ardua sentenza.