Hai in braccio il tuo bambino di pochi mesi e pensi che non possa esistere nient’altro di cosi bello, innocente e angelico. Sogni per lui o per lei la migliore vita e in qualche modo, pensi che, se seguirai un eccellente metodo d’insegnamento, la sua vita sarà semplice, felice, senza preoccupazioni. Un battito di ciglia e tuo figlio è cresciuto, diventato adolescente e si scontra e incontra con la realtà che ha intorno, ma soprattutto con i suoi coetanei, che lo influenzano e lo formano, molto più semplicemente di quanto tu hai vissuto negli ultimi 15 anni.
Caterina va in città ci racconta una realtà adolescenziale, dove stili di vita e forme di pensiero vengono plasmate dagli incontri che fanno i nostri figli.
Caterina e la sua famiglia sono costretti a trasferirsi dalla tiepida e accogliente provincia laziale alla caotica Roma. Il papà Giancarlo è un insegnante di ragioneria aspirante scrittore che sogna l’arrivo del successo. Nel frattempo, pieno di complessi, se la prende con la moglie Agata, accusandola di essere troppo provinciale. In questa situazione complessa, Caterina, che cantava all’interno di un coro, spera di riuscire ad integrarsi all’interno della nuova classe, dove scopre tristemente che le cose non funzionano come nella sua vecchia città. La classe, se non l’intera scuola, è divisa tra “zecche” e “parioli”, intellettuali di sinistra i primi, ricchi borghesi di destra i secondi. L’innocenza di Caterina, il suo aspetto da “bestia rara” all’interno della classe, la rende oggetto di contesa tra Margherita, comunista tatuata figlia di una nota scrittrice di sinistra, e Daniela, rampolla di un potente politico italiano di destra. Le due ragazza vorrebbero convincere la protagonista a divenire come loro ma lei, dopo aver testato entrambi gli stili di vita, decide di abbandonare entrambe.
Nel frattempo, il padre, le cui ambizioni sono state distrutte sia dalla scrittrice che dal politico, cerca una nuova ragione di vita, mentre la madre ha trovato una via di evasione dalla sua vita, tra le braccia di un vecchio amico d’infanzia, da sempre innamorato di lei. Caterina, turbata, addolorata e infelice, trova in un suo vicino australiano il primo amore, oltre che un’importante insegnamento di vita.
Caterina va in città è un film di Paolo Virzì, noto per la sua grande bravura nel disegnare e raccontare le maschere più rappresentative dell’Italia moderna. Ridicoli, pericolosi, penosi, strani, nonostante il velo ironico che li ricopre e la forte estremizzazione, tutti i personaggi hanno un triste e malinconico fondo di verità che in questo film, grazie anche a grandi attori come Sergio Castellitto e Margherita Buy, prendono vita raccontando in maniera perfetta tanti meccanismi, situazioni e atteggiamenti che sono presenti nella nostra società italiana.
Tutto il film gira intorno alla ricerca della personalità di Caterina che, dopo aver lasciato il suo paese, si sente persa e ricerca una similare situazione di gruppo come quella che percepiva quando cantava nel coro, la sua grande passione. In città, però, trova solamente estremismi e riluttanza verso chi la pensa in modo differente. O sei come noi o sei contro di noi e per dimostrare di essere come loro, Caterina dovrà sottoporsi a innumerevoli prove che però non comprende e non accetta.
Gli adolescenti potranno sicuramente riconoscersi in Caterina, una ragazza persa e confusa alla ricerca di accettazione e identità. Per i genitori, invece, è fondamentale tutto il film. Dovunque sono presenti spunti per valutare e confrontare il proprio atteggiamento genitoriale. A un primo livello, osservando Caterina potranno comprendere meglio i propri figli. Ma anche i genitori della ragazza sono ricchi di buoni consigli da seguire: il padre che ha annullato la famiglia per i propri sogni allucinati, la madre che ha annullato sé stessa per la famiglia, a cui inutilmente cerca di far vivere giornate normali. Se poi andiamo più affondo, troviamo Margherita e Daniela e le loro rispettive famiglie, un concentrato di atteggiamenti sbagliati e distruttivi: il disinteresse, la mancanza di ascolto, l’atto del delegare, le assenza, sono tutte caratteristiche che abbastanza palesemente fuoriescono da questi personaggi.
In conclusione, dobbiamo renderci conto e accettare che i nostri figli cresceranno e avranno bisogni di confrontarsi con la realtà, ma soprattutto con i loro coetanei, divenendo la spinta che li porta su una strada oggettivamente sbagliata.
E quindi cosa possiamo fare per evitare tutto ciò? La risposta è niente. Non c’è nulla che ci permetta di evitare questo scontro con il mondo ma sopratutto con loro stessi, che i nostri figli dovranno affrontare. Ciò che possiamo fare e cercare di essere loro vicini quando ne avranno bisogno, ma soprattutto insegnarli ciò che Caterina scopre alla fine: è molto più bello essere sé stessi e pensare con la propria testa, che cercare di imitare qualcuno solamente per avere nuovi amici. Perché in fondo, noi tutti andiamo bene così come siamo. E se volete, vi lasciamo con alcuni consigli che potranno aiutarvi a insegnare ai vostri ragazzi a pensare con la propria testa.
Vi lasciamo con il trailer del film, sperando che anche voi possiate apprezzarlo come abbiamo fatto noi.
Cosa vi spaventa di più dell’adolescenza dei vostri figli, cari unigenitori?