Da dopo l’annuncio al momento della nascita devono biologicamente passare nove mesi. Questo è un tempo fisiologico uguale per tutti. In realtà il cuore ne scandisce in maniera differente lo scorrere.
Quando pensi che vedrai tuo figlio per la prima volta dopo tutti quei mesi, sembra un tempo infinito. Continui a ripeterti che non c’è altra soluzione se non quella di aspettare, ma vorresti che durasse meno. Questo tempo, però, permette a un padre di pensare e interrogarsi. La nascita di un figlio, a prescindere che sia il primo, il secondo, il quinto o il centesimo, è un evento che trasforma la vita di una famiglia.
Aspettando nove mesi: la versione del papà
Per la mamma è una trasformazione lenta, perché percepisce il cambiamento all’interno di sé.
Per il padre, invece, il momento della nascita è come voltare una carta. Prima la tua vita ha un immagine, un istante dopo ne ha un’altra.
Consapevole di questo, a me non rimaneva che impiegare questo lungo periodo per fare due conti con il tempo. Ho confrontato passato, presente e futuro. Ho guardato a mio padre, così come credo facciano tutti. Durante questa analisi, si valutano fattori positivi e negativi. “Vorrei essere come mio padre in questo aspetto”, “Per nulla al mondo sarò come mio padre quando si comportava così”. Questi i pensieri più comuni. Noi futuri papà guardiamo alla nostra infanzia con l’unico obiettivo di poter diventare i migliori genitori possibili per nostro figlio, che ancora non conosciamo ma già sentiamo come nostra responsabilità. Obblighi che di padre in padre vengono presi più o meno positivamente. L’affetto, quello vero, verrà dopo e ci travolgerà come un fiume in piena. Per il momento si fanno i conti con il tempo.
Si guarda al futuro. Io ricordo di aver avuto una forte spinta alla maturità. Dovevo impegnarmi per diventare migliore. Perché Marta aveva scelto di percorrere la strada con me. Insieme facevamo un percorso che ci permetteva di essere infantili alle volte. Ma adesso stava arrivando qualcuno che non aveva avuto scelta, ci si era trovato su questa strada. Avrebbe avuto bisogno di una guida forte e quella guida sarei stato io. Qualcuno che lo aiutasse ad affrontare le sfide della vita, senza costringerlo ma soltanto accompagnandolo. Indubbiamente il fattore economico aveva il suo peso, specialmente in questo periodo. Ma dopo qualche tempo passato a preoccuparmi delle future spese che avremmo dovuto affrontare, mi sono reso conto che mi stavo perdendo tante cose e ho deciso di rimandare quei pensieri a quando sarebbe giunto il momento. Perché piuttosto che preoccuparsi, bisognava impegnarsi. Diventare migliore anche dal punto di vista lavorativo.
Inoltre, a causa delle preoccupazioni, stavo tralasciando l’aspetto più bello, comune a tutti i papà, quello dei sogni. Che tipo di padre sarò? Cosa farò con lui? Giocheremo insieme a calcio. Andremo a pescare. Faremo lunghe passeggiate nel bosco o in montagna. Gli insegnerò a nuotare. Insomma, sogniamo di condividere le nostre passioni con lui.
Divisi tra il passato che abbiamo vissuto e il futuro che vorremmo, non ci rimane che goderci il presente. Relazionarsi con una pancia silenziosa non è facile. Percepiamo quella nuova vita di riflesso, attraverso le sensazioni e le percezioni della mamma, sentendoci un po’ esclusi alle volte. Tentiamo allora di creare un rapporto. Cerchiamo di toccare la pancia, ci parliamo, gli cantiamo. Io avevo un momento tutto speciale. Quando io e Marta andavamo a letto, lei si metteva su un fianco e io l’abbracciavo da dietro. Una volta che lei si addormentava, io accarezzavo la pancia e Giacomo calciava. Era il nostro momento speciale in cui io e lui comunicavamo. Non era un modo per escludere Marta ma piuttosto un semplice momento rubato in cui cercavo di avere una relazione non mediata con lui. Quel momento lo sto portando avanti ancora adesso. Tutte le sere, prima di andare a letto, passo nel lettino di Giacomo e gli faccio una carezza. Un momento speciale tutto per noi.
Altri papà si sentono intimoriti da quest’enorme cambiamento che cresce giorno per giorno. Si relazionano poco e si chiudono dentro sé stessi, perdendo delle splendide opportunità. Perché è vero che all’inizio quei nove mesi sembrano non finire più, ma in realtà passano veloci come un soffio di vento. In un attimo siamo in sala parto aspettando l’arrivo di una nuova vita. E quando la stringeremo in braccio, rimpiangeremo tutti gli attimi passati a fare altro se non a curare quella prima relazione con una pancia silenziosa, investiti da un’ondata d’amore incondizionato che non riusciamo bene a giustificare.
Quella nuova vita che ci viene affidata è il frutto di un gesto d’amore e come tale va coltivato, cercando di donare affetto in ogni forma possibile, sia a lui che alla madre giorno per giorno in quegli strani nove mesi. Perché anche la mamma, anche se ne ho parlato poco, vive quell’attesa, in modo totalmente diverso da quello del papà, creando difficoltà e tensioni, ma anche momenti meravigliosi che rimangono nel tempo.
Ma di questo parleremo un’altra volta.
E voi unigenitori, come avete vissuti i 9 mesi?