Gli uomini sono il simbolo della forza, della solidità e della fermezza. Da sempre, vengono considerati dall’opinione comune come la roccia su cui fondare qualsiasi tipo di interazione sociale, dal lavoro alla famiglia. Per questo un uomo non deve mostrarsi debole, sentirsi libero di piangere o tirare fuori il proprio lato sensibile. Ogni uomo che si rispetti, deve dare la precedenza alle emozioni forti, come la rabbia.
Ma quanto è giusto questo tipo di atteggiamento? E da dove nasce? Queste domande sono state poste da numerosi studiosi e ricercatori, che ne hanno fatto oggetto di studio in vari campi, ottenendo risultati molto interessanti.
Lo studio della mascolinità è in atto da numerosi anni, tanto da ottenere dei corsi specifici in numerose università. L’Hobart e William Smith College, infatti, ha istituito un corso di studi minore dedicato a questo argomento, già a partire dagli anni ’90, mentre la Stony Brook University, collegata alla State University di New York, ha istituito nel 2013 il Centro per lo Studio degli Uomini e della Mascolinità e prevede di offrire un corso di studi e di master sull’argomento, nel 2018.
Ma le conferenze, le ricerche e le indagini su questo fenomeno sono molteplici e tutte quante cercano di approfondire i rapporti che legano la mascolinità alla paternità, le amicizie maschili e non, il lavoro e la vita familiare.
La prima domanda a cui si cerca di dare una risposta è molto semplice: da dove nasce questo atteggiamento di mascolinità presente in molti uomini?
La risposta più semplice porta a credere che si tratti di un fenomeno culturale che si tramanda di padre in figlio e imposto dalla società maschile in cui cresce il bambino. Indubbiamente questa situazione socio-culturale di formazione ha il suo grande influsso sull’educazione dei figli.
Se poi consideriamo i risultati ottenuti da uno studio eseguito dall’Harvard Medical School e dal Boston Children’s Hospital nel 1999, l’influsso che il mondo degli adulti ha su quello dell’infanzia, appare in tutta la sua potenza. Questo studio, infatti, ha dimostrato che i maschietti già dall’infanzia fino a circa i 4-5 anni di età, sono molto più emotivi rispetto alle femminucce. A partire dai 6 mesi, i bambini si sono dimostrati più propensi a mostrare espressioni facciali di rabbia, ad agitarsi oltre che a essere più facili al pianto rispetto alle ragazze. Superano le femminucce anche nella tendenza alla socializzazione e nella propensione al visualizzare le espressioni facciali di gioia della madre.
Un forte legame con le proprie emozioni e una propensione all’empatia si mostra nei bambini di questa età, come afferma anche il Dr. Niobe Way, docente di psicologia applicata alla New York University. In 20 anni di ricerca, però, il Dr. Way ha scoperto che questa tendenza a sviluppare legami profondi e amicizie significative attraverso una grande onestà emotiva e apertura verso la propria intimità, è presente nei maschi fino al periodo dell’adolescenza. Verso i 15-16 anni, infatti, questi atteggiamenti che fino a poco tempo prima venivano accolti benevolmente, iniziano a mostrare la loro vulnerabilità, attaccati con commenti da parte degli altri che li denigrano perché troppo femminili, accusandoli di omosessualità, come se fosse una colpa grave da sostenere. In questo clima, i ragazzi iniziano a reprimere il legame con la propria emotività, anche se il loro desiderio di creare questo tipo di relazioni permane.
Cosa succede quindi ai nostri adolescenti?
Prima uomini e poi studenti
Questa repressione dei loro desideri e bisogni emotivi, ha una forte ripercussione sulla loro vita, specialmente quella scolastica. Problemi che sono aumentati rispetto al passato. Se infatti, nel 1994, secondo un’analisi condotta dal Pew Research Center, il tasso d’iscrizione al college dopo le superiori era del 63% per le donne e il 61% per i maschi, nel il 2012, la percentuale di ragazze è aumentata al 71%, ma la percentuale di uomini è rimasta invariata. Secondo i sociologi Thomas A. Di Prete e Claudia Buchmann, questa situazione deriva dalla tendenza delle ragazze a sviluppare già nelle scuole elementari
- “qualifiche sociali e comportamentali più elevate”,
- che si traducono in “tassi più elevati di apprendimento cognitivo” e
- “livelli elevati di investimento accademico.”
Questo perché “le performance negative dei ragazzi a scuola, hanno più a che fare con le norme della società circa la mascolinità piuttosto che con l’anatomia, gli ormoni o la struttura del cervello.” I due sociologi, infatti, hanno rilevato che “i ragazzi coinvolti in attività culturali extrascolastiche come la musica, l’arte, il teatro e le lingue straniere, riportano livelli più elevati di coinvolgimento della scuola e una tendenza maggiore ad ottenere voti migliori rispetto agli altri ragazzi. Ma queste attività culturali sono spesso denigrate come poco maschili, sia da preadolescenti che adolescenti.” Non è quindi un caso che, anche quei ragazzi che decidono di andare al college, dimostrano numerose difficoltà nel percorso accademico, dovute non a una mancanza di capacità o conoscenza, ma piuttosto al desiderio inconscio di dimostrare a se stessi e agli altri di poter essere considerati “uomini”, dedicandosi ad attività mascoline, come la continua ricerca di conquiste femminili, piuttosto che al loro percorso di studi.
Questo fallimento accademico, in relazione ai successi che invece riescono ad ottenere le ragazze, porta a un distaccamento verso il sesso femminile che viene visto come avversario principale, e una tendenza a non impegnarsi in relazioni stabili. Questo è problematico in quanto “i partner romantici sono le fonti primarie di intimità”, ciò di cui avrebbero bisogno per rientrare in contatto con le proprie emozioni.
Una situazione complicata, ma a cosa può portare? Quali le conseguenze sulle loro relazioni?
Le conseguenze della iper-mascolinità
I ragazzi, che hanno accantonato la propria fragilità per cercare di ottenere una maschera di forza, vedono il fallimento scolastico come un simbolo dell’inutilità dei loro sforzi. Questa situazione emotiva, divisa tra repressione e depressione, può portare a reazioni violente. Il tasso di suicidi maschili all’interno dei college, infatti, supera del doppio quelli femminili.
Nei casi più gravi, si può rintracciare una vera e propria frattura della psiche maschile, che come estremo tentativo di conquista di quella mascolinità tanto ricercata ma che risulta essere sempre più lontana, esplode in atti di violenza verso quello che vedono il sesso che dovrebbe essere debole: le donne. Avvengono quindi aggressioni sessuali e omicidi di massa, come quelli in un college in Oregon e in un cinema nel Colorado. In quei ragazzi erano individuabili due classici tratti dell’iper-mascolinità: un sentimento di isolamento profondo e un desiderio di notorietà.
Per evitare queste situazioni, per tentare di invertire la rotta e distruggere gli stereotipi sull’uomo mascolino, oltre ai corsi di studi istituiti, come detto precedentemente, alcune università hanno istituito dei servizi di consulenza, dove gli uomini possono aprirsi e cercare di ritrovare un contatto con la propria emotività. Uno spazio sicuro in cui possono aprirsi e parlare sia dei loro fallimenti, causa principale di numerosi problemi, ma anche, per quei giovani che non si ritrovano nell’idea di mascolinità e per questo sono oggetto di derisione ed emarginazione, della situazione emotiva che portano dentro e che non sanno gestire.
Queste operazioni, indubbiamente utili e fondamentali per aiutare tanti ragazzi in contrasto con sé stessi e la realtà che li circonda, sono pur sempre una cura agli effetti e non un antidoto alla causa di questa situazione.
È necessario un cambiamento drastico nel metodo di relazione di tutti quei padri che hanno un idea precisa di cosa dovrebbe fare il proprio figlio, e li indirizzano già sulla strada che porta alla ricerca della mascolinità.
A prova di questo, qualche tempo fa su internet girava il video di un bambino alle sue prime vaccinazioni.
Il piccolo è impaurito e agitato e dimostra queste sue emozioni attraverso un pianto, ma non viene confortato. Da dietro la macchina fotografica si sente la voce del padre che dice: “Ti tengo la mano, ok?”.
Questo sostegno, però, non è sufficiente per il bambino, che continua a piangere e ad agitarsi. Allora il padre non trova altro modo che iniziare a incoraggiarlo dicendo: “Non piangere, dai ragazzone! Dammi il cinque, il cinque! Diciamo insieme che sei un uomo: Io sono un uomo!”.
Il video si conclude con il bambino che, ancora piagnucolante, ha trasformato il suo viso in una smorfia di rabbia e, tra le lacrime e a denti stretti, mentre si batte il pugno sul petto, abbaia alla telecamera: “Io sono un uomo!”.
Forse è giunto il momento di cambiare le cose. Dopotutto, vi siete mai chiesti qual è la parte più maschile di un uomo?
Voi unipapà come gestite le vostre emozioni? E cosa insegnate su questo argomento ai vostri figli?