Siete arrivate alla 40esima settimana di gravidanza e il vostro bimbo non ne vuole sapere di uscire dal pancione? E’ probabile allora che andiate incontro a un parto indotto. Di che cosa si tratta? Ve lo spieghiamo subito.
Quando una mamma supera la durata media della gestazione (una gravidanza è detta fisiologica se è a termine tra le 38 e le 42 settimane), appunto le 40 settimane, viene sottoposta a continuo monitoraggio per controllare che il protrarsi del tempo non porti complicazioni a lei o al bambino.
Si può fare ricorso a un parto indotto, a prescindere dall’aver superato le 40 settimane, ad esempio anche quando la mamma soffre di diabete gestazionale o in caso di gravidanze gemellari.
La mamma viene ricoverata nel giorno stabilito in ospedale e stimolata attraverso una dose di gel con prostaglandine ogni sei- otto ore; le prostaglandine sono delle sostanze che permettono l’avvio del travaglio, modificando il collo dell’utero, che si deve accorciare, dando origine alle contrazioni. Può essere un procedimento abbastanza faticoso, visto che può durare anche due giorni. Per poter essere applicato, però, deve esserci un minimo di dilatazione (circa 2-3 cm).
In alternativa, è l’ostetrica che induce il parto attraverso una manovra che provoca lo scollamento delle membrane: in sostanza, si rompe il sacco amniotico che conteneva il bambino (si provoca cioè artificialmente la rottura delle acque) e alla futura mamma viene somministrata una flebo di ossitocina, per stimolare e far continuare le contrazioni. In questo modo si può evitare il cesareo: l’ossitocina ha però l’inconveniente di rendere fin da subito le contrazioni più forti, perché la testa del bambino preme maggiormente sul collo dell’utero.
Non abbiate paura, però: dopo tante ore di sofferenza, anche se volete maledire il giorno in cui vostro marito vi ha messo incinte, saprete che avrete tra le braccia un fagottino d’amore da cullare e rendere una persona attraverso le vostre cure.
E poi il tempo aiuta a dimenticare…
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