Ci sono in Italia circa tre milioni di bambini adottati che non potranno conoscere il nome della madre per legge.
La legge del 4 maggio 1983 n.184 ha dato la possibilità ai figli, riconosciuti alla nascita, di richiedere al Tribunale dei minorenni il nome dei propri genitori una volta compiuti i 25 anni.
Esclusi da tale possibilità sono i bambini non riconosciuti alla nascita. Per questi figli non riconosciuti, né dal padre né dalla madre, vige un codice diverso: “l’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata (…)”
In più, l’articolo 93 del Codice della Privacy protegge il diritto della madre al segreto sulle proprie generalità, fino a cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto. Quindi, di fatto, questi bambini non potranno mai conoscere i nomi dei propri genitori biologici.
Questa normativa, con quelle parole così nette, spesso gelide, che il diritto deve usare per essere comprensibile, si scontra con le parole di una di questi bambini: Emilia Rosati, e del suo appello, Il diritto di conoscere le proprie origini.
Anche leggendole sullo schermo di un pc le sue parole prendono vita…
Ci raccontano dell’esigenza, anche per bambini con storie felici di adozione, di completare la conoscenza di se stessi con quei nomi non-nominati, che comunque sono tornati nella loro vita.
Quei non nominati, non solo nelle mille domande che un bambino adottato prima o poi si pone, ma anche nelle domande di routine fatte dai medici sulla salute, come ad es.: “Ci sono casi di diabete in famiglia?”.
In questo modo il diritto di anonimato dei genitori va a scontrarsi con il diritto al completamento dell’identità dei figli adottivi. Perché come racconta la signora Emilia stessa:
“L’attuale normativa ci impedisce di far luce su una zona senza ricordi e senza storia che sta all’origine della nostra vita e del nostro sviluppo, rendendoci eternamente incompleti e destinati a morire senza aver avuto piena cognizione di noi stessi.”
Non si chiede di abolire l’anonimato, ma solo di permettere a quei bambini di conoscere nel corso della vita, quindi prima di 99 anni, quei nomi non conosciuti.
Conoscerli per questioni, magari anche complicate, di salute, conoscerli per aggiungere dei pezzi necessari alla propria vita, anche se poi si è conclusa in una felice adozione.
Per rispondere a quelle domande che tutti noi ci facciamo: Chi sono? Da dove vengo? Questo diritto, quella madre e padre non nominati non dovrebbero poterlo ledere.
Oggi esiste un Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche.
Nella pagina Facebook dell’associazione, tra le citazioni preferite, potete leggere:
“Prevenire la prima forma di violenza contro i bambini: l’abbandono alla nascita” (Risoluzione europea 1624 – giungo 2008)
Perché non è una battaglia per sconfiggere l’anonimato, che tutela le nascite di molti bambini. E’ una battaglia di civiltà, per tutti quei bambini di madre e padre “non nominati”, per consentire loro di ricomporre, almeno in parte, la propria storia e la propria identità.
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