Quando Dio disse ad Eva, colpevole di aver fatto mangiare la mela ad Adamo, “Tu donna partorirai con dolore”, non stava affatto scherzando.
Si sentono racconti incredibili riguardo al momento della nascita di un bambino. Chi afferma di essere entrata in ospedale e di aver fatto quattro giorni di travaglio, chi di essere svenuta a causa dei dolori atroci, chi di aver urlato parolacce senza fine al marito o compagno, i cui spermatozoi nove mesi prima avevano osato dar via al processo della creazione. A loro il divertimento e alle donne lo sfinimento, verrebbe da dire.
Certo, esistono anche racconti opposti: ci sono donne che in tre ore partoriscono e poi sono in grado di compiere una piroetta carpiata nonostante i punti. E hanno pure i capelli in piega, e la pelle del viso radiosa come un bocciolo.
Per la maggior parte delle donne, soprattutto se si tratta della prima gravidanza, il travaglio dura mediamente otto ore e sopravvivere alle contrazioni, sempre più frequenti e dolorose, per tanto tempo, può mettere a dura prova. Anche se poi, la gioia di vedere finalmente il proprio figlio, pone in secondo piano il dolore appena provato.
Però, diciamoci la verità, non sempre è vero che il parto si dimentica solo perché si ha il proprio bambino tra le braccia. Anzi, a volte, proprio un travaglio difficile può far scegliere ad una donna di non avere altri figli.
Per fortuna, rispetto anche solo a cinquant’anni fa, la medicina ha fatto passi da gigante riguardo il controllo del dolore. E un metodo a cui si ricorre, per continuare a godere delle gioie del parto senza incubi, è l’epidurale.
Si tratta di un’anestesia, che viene praticata, quando la donna raggiunge i tre/quattro centimetri di dilatazione, attraverso un sottile tubo di plastica (catetere) inserito nello spazio epidurale lombare, ovvero nella schiena. Questa procedura permette, appunto, di sentire meno dolore, ma ha anche delle contro indicazioni, tra cui quella di rendere meno sensibile la donna nella fase espulsiva: in sostanza non si avverte il bisogno di spingere e questo potrebbe allungare il travaglio. Inoltre, non si esegue a cuor leggero: bisogna infatti effettuare degli accertamenti (elettrocardiogramma), e sottoporsi ad un colloquio con un anestesista, attorno alle 36esima settimana di gravidanza.
Per molte donne l’epidurale è una mano santa, peccato che fino a poco tempo fa non fosse sempre garantita: alcuni ospedali, ad esempio, offrivano il servizio dal lunedì al venerdì, mentre per il week end si doveva pagare. Il prezzo variava, ma si aggirava comunque tra un minimo di 50 euro a un massimo di 1000 euro per gli ospedali pubblici, 2500 per quelli privati. Questo perché, nei fine settimana, gli anestesisti lavorano a chiamata, e quindi si ricompensava il loro intervento straordinario. Ciò ha fatto sì che soltanto una percentuale ridotta di partorienti usufruisse dell’epidurale.
Il Ministero della Salute ha, invece, stabilito che dal gennaio 2013 l’epidurale è accessibile gratuitamente in tutti gli ospedali, grazie al decreto del ministro uscente Balduzzi: l’anestesia entrerà a far parte dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), permettendo così a chi ne usufruirà di avere un rimborso dal Servizio Sanitario Nazionale.
Una bella notizia, certamente, che non va ad inficiare, in maniera radicale, la naturalezza del parto: se si può utilizzare un servizio che può alleviare il dolore, perché non pensarci senza rischiare di spendere una fortuna?
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