E questa è la definizione scientifica. Come potete immaginare la situazione è molto più complessa, sia per quanto riguarda la facilità con cui si definisce con “disturbo” o “sindrome” o addirittura di “malattia”, quello che potrebbe anche semplicemente essere una fase dello sviluppo normale di molti bambini, sia per la scelta che si adotta per aiutare il bambino. Tale scelta spesso si riduce, da quello che abbiamo letto troppo spesso, ad una pillola.
Un articolo recente de La Stampa denuncia la situazione in Germania:
“Tra il 2006 e il 2011 le diagnosi di ADHD nei ragazzi sotto i 19 anni sono cresciute del 42%, rivela uno studio della più grande cassa di malattia tedesca, la Barmer GEK. Contemporaneamente sono salite le prescrizioni del metilfenidato, meglio noto col nome di Ritalin: l’aumento è stato del 25% nei ragazzi tra 9 e 11 anni e del 35% nelle persone tra 0 e 19 anni.”
La situazione tedesca rivela come troppo spesso gli stessi medici finiscano per diagnosticare, senza troppo scrupoli, quella che ormai è una malattia già definita “alla moda”. A questo si aggiunge il fatto che l’ambiente, scolastico e familiare, non sempre è pronto ad interpretare questa nuova realtà.
Come nota Alessandro Alviani, giornalista de La Stampa: “Inoltre a influenzare la frequenza con cui la ADHD viene diagnosticata ci sono anche fattori come il grado d’istruzione e la situazione economica dei genitori. Tradotto: la sindrome viene rilevata più raramente nei ragazzi i cui genitori hanno un elevato titolo di studio e guadagnano di più. I casi aumentano invece tra i figli di disoccupati. Inoltre tra i bambini di genitori più giovani la ADHD è più frequente rispetto ai coetanei i cui genitori hanno più di trent’anni.”
Questo il triste profilo della situazione in Germania, e da noi?
In Italia secondo i dati diffusi dall’Istituto superiore della Sanità sono circa due mila i bambini curati per ADHD con terapia farmacologica.
E sì perche la prima notizia che riguarda il nostro Paese è che da noi è attivo un registro dal 2007. “Il Registro vincola la prescrizione del metilfenidato alla predisposizione di un piano terapeutico semestrale da parte del Centro clinico accreditato (Centro di riferimento) per garantire l’accuratezza diagnostica e evitare l’uso improprio del medicinale.”
Esiste inoltre sull’ADHD un gruppo di lavoro multidisciplinare che dal 2004 si è proposta importanti obiettivi come:
E non è poca cosa, anzi! Perché purtroppo come possiamo leggere su un altro interessante articolo di Unimondo: “Se, come per molte patologie di questo tipo, non si è ancora riusciti a determinarne l’origine (così come la diagnosi pare ancora nebulosa), l’industria farmaceutica è arrivata al solito prima di tutti: Ritalin, Adderall e altri psicofarmaci e stimolanti sono ormai entrati a far parte della “dieta” farmacologica di milioni di bambini in tutto il mondo.”
Ma l’esistenza di un gruppo di vigilanza e di un registro non è l’unica buona notizia per il nostro Paese. Secondo Alberto Magnetti, omeopata e collaboratore sempre del quotidiano La Stampa: “Il problema degli psicofarmaci usati al limite della correttezza prescrittiva ci aveva già toccato anni fa quando i pediatri USA cominciarono ad ingrassare di Ritalin i bambini agitati e irrequieti, senza preoccuparsi delle eventuali cause di questa maggior reattività (vedi videogiochi, scarsa attività fisica, troppa TV, alimentazione scorretta con frequenti crisi ipoglicemiche, ecc).
Fortunatamente i nostri pediatri hanno reagito con una “mediterranea” saggezza e non hanno aderito a questo scempio terapeutico, infatti in Italia si ricorre molto poco all’uso di ansiolitici nel caso di ADHD“.
Tutto questo ci fa ben sperare, ma ci deve anche ricordare di tenere sempre gli occhi aperti e di essere dapprima noi genitori onesti con noi stessi. Di non cercare qualcosa che tranquillizzando i nostri bambini debba, come prima e celata necessità, tranquillizzare noi. E non ci deve mai far arrivare alle conclusioni di un medico americano come racconta l’articolo di Unimondo: “Alla fine non abbiamo molta scelta. Come società abbiamo deciso che è troppo dispendioso modificare l’ambiente del bambino. Così, abbiamo modificato il bambino stesso.”
Non arrivare a questa scelta dipende anche da noi, siete d’accordo unigenitori?
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