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Categoria Scuola

Sempre meno laureati: a quando il cambiamento?

Published by
Michele

Vale ancora la pena laurearsi?

Ancora meglio: ha ancora senso per le famiglie italiane, vista la crisi, affrontare la grande spesa del mantenimento di un figlio all’università (spesa che molto spesso porta i ragazzi ad andare via dalle loro città per studiare in altri luoghi con conseguente spesa di affitto, bollette …) per poi ritrovarsi quegli stessi ragazzi, disoccupati o impiegati in modo precario e spesso senza prospettive?

Secondo un articolo apparso sul Sole 24 ore, ciò che emerge negli ultimi anni, dalle statistiche in materia di immatricolazioni universitarie, è che dal 2003 c’è stato un vertiginoso calo delle iscrizioni definite ” tardive”, ovvero quelle che riguardano i ragazzi che si iscrivono all’università dopo i 22 anni.

Grazie al modello 3+2 (laurea triennale e successiva specialistica) si erano infatti riavvicinati all’università tutti coloro che avevano precedentemente abbandonato, perché il modello introdotto dava loro la possibilità di concludere ciò che era rimasto in sospeso, portandoli a voler condurre a termine il percorso triennale e ad ottenere almeno una laurea di primo livello.

Perché ora questa inversione di tendenza?

A quanto pare da una ricerca della Fondazione Agnelli, è proprio nella sfiducia delle famiglie circa gli sbocchi lavorativi post- laurea che risiede la ritrosia dei ragazzi, e la loro volontà nel non investire più in un futuro di studi.

Il dato preoccupante dietro a questa analisi è che il vero “flop” del meccanismo è da ricercarsi proprio nelle aziende italiane, che tendono ad impiegare meno laureati di quanto non facciano invece le aziende in Europa. La conseguenza di questo mancato investimento da parte delle aziende è una maggiore arretratezza sul piano della competitività.

Altro dato rilevante è che le università, invece di aggiornare i percorsi formativi in relazione al mondo del lavoro, sono rimaste ancorate a vecchi sistemi formativi, rendendo i nostri studenti non al passo con la moderna richiesta di competenze, e quindi assai poco inseribili in un mercato del lavoro in continua trasformazione.

Quanto ancora bisognerà aspettare  prima di riuscire ad integrarsi con una modernità che ci renda davvero cittadini d’Europa?

Michele

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