Il bullismo rosa, stando alle ricerche effettuate in merito, si articola diversamente da quello perpetrato dai maschi perché presenta caratteristiche per così dire più “raffinate”, infatti, alle percosse e minacce fisiche dei maschi corrisponde, nel caso delle ragazze, un gioco più sottile portato avanti con insinuazioni, minacce velate, esposizione della vittima a commenti crudeli sui social network come Facebook e Twitter.
Proprio per le caratteristiche di anonimato che la rete garantisce, le ragazze praticano atti di bullismo via internet in una percentuale doppia rispetto a quella dei loro coetanei maschi.
Come riportato in un articolo della psicologa Brunella Gasperini, sul settimanale D de “La Repubblica”, secondo “le ricerche condotte dalla Società Italiana di Pediatria: Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani, il 46 per cento dei ragazzini intervistati ha assistito a episodi di bullismo, e più di uno su tre, il 34 per cento, li ha subiti direttamente o attraverso un amico vittima“.
Il fenomeno va inquadrato come espressione di un disagio, che le famiglie, e le istituzioni che più sono a contatto con i ragazzi, devono non solo prevenire, ma devono arginare e reindirizzare in modo positivo.
In prima analisi coloro che compiono atti di bullismo stanno sicuramente cercando di manifestare:
per questo motivo bisogna comprendere che gli obiettivi che sono dietro questo comportamento indicano una ragazza, o anche una bambina, che cerca di trovare una dimensione all’interno del suo nucleo di frequentazioni, e quindi provare ad intervenire tramite il supporto di figure professionali specializzate, che possano aiutare la bambina a trovare delle modalità che siano più rispettose di sé e di tutti coloro che la circondano.
La seconda questione da sollevare è come prevenire/ impedire che certi fenomeni si ripetano, e questo compito spetta alle istituzioni che dovrebbero cercare di creare un terreno possibile di confronto e comprensione, intervenendo sul disagio e incoraggiando atteggiamenti positivi.
Tuttavia ciò che è molto importante è che le famiglie imparino ad osservare attentamente i comportamenti delle loro figlie soprattutto nelle relazioni con i coetanei, se reagiscono in modo eccessivo nel momento in cui vengono loro imposti dei limiti, se attivano modalità manipolatorie nei contesti di gruppo e nei confronti dei singoli componenti, o, se al contrario riescono ad accogliere le emozioni anche se contrastanti e ad utilizzarle a favore del gruppo stesso.
Come riportano i due autori del libro ” Mio figlio è un bullo?“ (Erickson, 2012) Gianluca Daffi e Cristina Prandolini: ” i genitori devono rendersi conto che potersi serenamente fermare a riflettere sull’opportunità di convivere con un presunto bullo, comporta una certa maturità da parte loro“.
Il problema evidentemente rimane sempre quello: la capacità del nucleo familiare di mettersi in discussione rispetto alle problematiche che emergono di volta in volta, in questi casi, soprattutto facendosi supportare da figure professionali quali psicologi, educatori ed insegnanti che possano indicare un percorso di comprensione di tali comportamenti per suggerire, ai ragazzi che subiscono atti di bullismo o che al contrario prevarichino in modo violento sugli altri, come canalizzare in modo positivo le loro emozioni.
Osserviamoli, ma soprattutto educhiamoli e aiutiamoli a sviluppare abilità sociali e relazionali, senza le quali non si va da nessuna parte e si finisce per stare soli, e male!
E voi unimamme che ne pensate?
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