Le notizie di cronaca degli ultimi giorni confermano la china incontrollabile e feroce che il nostro Paese ha preso a percorrere in questo momento, una continua escalation di violenza perpetrata nei modi più efferati a danno di donne e ragazze, sempre più vittime della violenza cieca degli uomini che le circondano, spesso familiari, parenti, amici, fidanzati.
Da quanto accade risulta evidente quanto, dietro alla violenza sulle donne, ci sia proprio una incapacità di riconoscere la differenza e accettarla, rispettarla e incuriosirsene, senza schiacciarla. Un’incapacità di cui la società è responsabile, ma a cui non riesce a porre freno in modo efficace.
Donne che non vengono riconosciute, rispettate, che non vengono ascoltate, che vengono uccise.
A soffermarsi col pensiero, anche solo per un attimo, su questa frase viene una certa paura, ma viene anche da rimboccarsi le maniche e cominciare a capire come fare.
Che contributo forte,culturale e profondo è possibile dare per porre freni alla condizione di violenza quotidiana in cui vivono molte donne nel nostro Paese? Da dove possiamo partire?
Come al solito è importante iniziare a parlarne, iniziare a discutere intorno a quanto accade e mostrarlo per cominciare a riconoscerlo, per dargli un nome.
Un tentativo coraggioso è un libro/ progetto che porta la firma di Serena Dandini, intitolato“Ferite a morte”, da cui ha preso vita uno spettacolo teatrale con lo stesso titolo. L’autrice stessa racconta quali siano state le riflessioni da cui è nata l’esigenza di scrivere questo libro: “Ferite a morte nasce dal desiderio di raccontare le vittime di femminicidio. Ho letto decine di storie vere e ho immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale – afferma la Dandini – . Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società, e che hanno pagato con la vita questa disubbidienza. Così mi sono chiesta: ‘E se le vittime potessero parlare?‘ Volevo che fossero libere, almeno da morte, di raccontare la loro versione, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi fantasmi. Desideravo farle rinascere con la libertà della scrittura e trasformarle da corpi da vivisezionare in donne vere, con sentimenti e risentimenti, ma anche, se è possibile, con l’ironia, l’ingenuità e la forza sbiadite nei necrologi ufficiali. Donne ancora piene di vita, insomma. ‘Ferite a morte’ vuole dare voce a chi da viva ha parlato poco o è stata poco ascoltata, con la speranza di infondere coraggio a chi può ancora fare in tempo a salvarsi. Ma non mi sono fermata al racconto e, con l’aiuto di Maura Misiti che ha approfondito l’argomento come ricercatrice al CNR, ho provato anche a ricostruire le radici di questa violenza. Come illustrano le schede nella seconda parte del libro – spiega l’autrice -, i dati sono inequivocabili: l’Italia è presente e in buona posizione nella triste classifica dei femminicidi con una paurosa cadenza matematica, il massacro conta una vittima ogni due, tre giorni”.
Un primo modo di provare a raccontare quanto accade e di provare ad inquadrarlo per intervenire, per approfondire e scoprire cosa accade intorno a noi, e adoperarsi per fermarlo.
Il libro con le sue storie, nella sua forma di spettacolo teatrale, si è trasformato ancora di più in una possibilità di racconto più diretta ed efficace, incontrando la collaborazione di alcune tra le più importanti attrici italiane che di città in città provano a dare voce alle storie di violenza di tutte coloro che “Ferite a morte” non meritano di essere dimenticate!
Parliamone anche noi…e facciamolo anche e soprattutto con i nostri figli!