Cara unimamma, abbiamo più volte parlato della normativa prevista dallo Stato italiano in materia di lavoro, occupandoci sia dell’aspetto previdenziale-assitenziale dei genitori lavoratori, che di quello puramente retributivo.
Abbiamo già affrontato il tema dell’ indennità di maternità in un precedente articolo, specificando tutti gli aspetti più salienti e le peculiarità della tematica.
Oggi invece vogliamo approfondire una fattispecie che nasce quando il datore di lavoro comunica all’INPS l’indennità di maternità, senza averla erogata effettivamente alla lavoratrice.
Cosa accade in questo caso? In caso di indennità di maternità mai versata alla dipendente, ma dichiarata all’INPS si configura il reato di truffa.
Cos’è la truffa? E’ un reato previsto dall’art. 640 del codice penale ed è un’attività ingannatoria.”Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare [c.p.m.p. 162, 32quater]; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità [649]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante”
Si è dibattuto se si potesse parlare di dichiarazione infedele, ed invece si è poi giunti alla conclusione che si tratti di una vera e propria truffa. Si tratta pur sempre di una condotta lesiva nei confronti della lavoratrice che è stata tenuta dal datore di lavoro.
“Non si può parlare di omissione o di falsità” così si descrive il comportamento datoriale a tal riguardo. “Ciò che conta è la condotta datoriale e l’obiettivo che il datore si è prefissato di raggiungere, cioè ottenere il conguaglio di somme mai versate”.
In questi termini si è pronunciata la Corte di Cassazione, sez. II Penale, con la sentenza n. 29455/13, depositata il 10 luglio 2013. In questa pronuncia, di grande attualità, si è qualificato il comportamento datoriale come, non una semplice omissione o una semplice falsità, è, infatti, legittimo parlare di truffa!
Speriamo solo che questi casi non siano così comuni…
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