Il problema dell’autismo e della sua diagnosi sono una sorta di “spada di Damocle” che pende sulle famiglie di moltissimi bambini, e ne abbiamo già parlato diverse volte.
Negli Stati Uniti si stima che nelle scuole almeno 1 bambino su 50 potrebbe risultare affetto da autismo e la diagnosi completa non è immediata. Ci vogliono anni infatti prima di poter dire con certezza che il bambino soffre di questa forma di malattia e, una volta scoperto, ciò che terrorizza i genitori è il fatto che sia “per sempre”.
Maria Dominici, la mamma di Jaya, una bambina autistica di 12 anni, ha raccontato che il sospetto che sua figlia fosse affetta da autismo lo aveva avuto già dopo il 1 anno di vita, ma la diagnosi effettiva e completa è arrivata solo ai 3 anni. E come Jaya, tanti altri bambini vengono dichiarati autistici solo tra i 3 e i 5 anni.
Un esame della placenta può aiutare a diagnosticare l’autismo dalla nascita
Arriviamo ora alla buona notizia: grazie ad un semplice esame della placenta, l’organo preposto allo scambio tra mamma e bambino, il rischio che un bambino sviluppi l’autismo potrebbe essere diagnosticato con molto anticipo, già dalla nascita.
Partendo dall’osservazione di un ricercatore che aveva notato la presenza di piaghe anomale nelle placente di alcuni bambini successivamente diagnosticati con autismo, gli scienziati dell’università di Yale School of Medicine e dell’Università di California Davis hanno deciso di analizzare ben 117 placente di famiglie dette “a rischio”, con almeno un bambino con autismo, per confrontarle con 100 di controllo, ossia di famiglie senza bambini affetti da tale disturbo.
Dallo studio, pubblicato nel sito Biological Psychiatry, è emerso che le placente a rischio presentavano diverse piaghe e crescite cellulari anomale a livello del trofoblasto, tessuto cellulare che serve a nutrire l’embrione e che da origine alla placenta stessa.
Se questo studio verrà confermato, sarà quindi possibile utilizzare la placenta come indicatore chiave nell’individuare i neonati a rischio di autismo. Ciò consentirà di intervenire prima, quando cioè il cervello del bambino, essendo ancora molto piccolo, è maggiormente sensibile alle cure, proprio perché ancora nel primo anno di vita, e quindi di migliorare la qualità della vita del bambino e della famiglia.
Speriamo quindi che arrivino presto nuove conferme e che una diagnosi precoce sia presto realtà! E voi unimamme, che ne pensate?