Insomma, marcare il territorio è una prerogativa materna, così come sentire di essere uniche nel cuore del cucciolo in questione. Naturalmente un simile rapporto si deve costruire nel tempo e vi sono alcuni step imprescindibili per raggiungerlo. Un esempio? La prima parola. Solo uno può essere nella logica di una mamma infatti il primo vocabolo pronunciato dal suo piccolo: mamma per l’appunto, parola dal suono magico capace di sciogliere il cuore e fa mettere un tassello in più al puzzle dell’orgoglio materno.
Si tratta senza dubbio di un momento insostituibile, l’inizio di una lunga serie di discorsi da parte del nostro ometto (o della nostra donnina), che forse a lungo andare potranno anche andarci a noia, ma che hanno un incipit senza dubbio da brivido.
Cosa accade però dopo? Insomma, quali altre meravigliose parole ci si deve attendere, con che tempi e con quali ostacoli?
Lo sviluppo del linguaggio infantile è una materia affascinante, ma anche una fonte di grande apprensione per qualsiasi mamma. Tolto infatti l’iniziale batticuore, giunge il momento dei dubbi e delle parole, e ci si chiede:
Proviamo allora ad apprendere qualche nozione chiave di questa articolata materia, scoprendo anche quali sono gli imprevisti che potrebbero capitare e quali le tappe da attendersi durante il cammino.
Iniziamo dalla tempistica: prima del fatidico inizio del secondo anno di vita raramente un bambino si esprimerà con qualche cosa che va oltre gesti e gorgheggi.
Tra i sei e gli otto mesi infatti il “piccolo dialogatore” vivrà il così detto periodo della “lallazione”, una fase durante la quale esercitare gli organi articolatori e uditivi, giocando con i primi suoni della lingua.
Nel trimestre successivo invece, capendo oramai abbastanza bene ciò che gli adulti tentano di comunicargli, proverà a sfruttare queste informazioni indicando oggetti o afferrandoli, per provare così a dire qualche cosa.
E’ però durante il periodo che va dai 12 ai 16 mesi che il bambino inizierà a dire le prime parole come “no”, iniziando un cammino che lo porterà sino ai 24 mesi, quando il suo vocabolario sarà di circa 50 parole e le associazioni tra esse inizieranno ad essere più agevoli.
La strada ora sarà tutta in discesa, diramadosi tra un costante accrescimento del lessico e un progressivo raffinarsi della sintassi.
Chiarito ciò però la domanda rimane: noi adulti come possiamo aiutare il bambino a percorrere una simile via? Stare insieme e comunicare sono senza dubbio le migliori armi per questa missione: un corretto sviluppo intellettivo e linguistico passa infatti proprio per la socievolezza, la possibilità di interazione e la voglia di entrare in contatto. Buona parte della spinta del bambino a parlare deriva infatti proprio dal suo desiderio di entrare in comunicazione con tutte quelle persone che lo circondano, gli donano affetto e, soprattutto, comunicano costantemente con lui.
Creare dunque situazioni stimolanti è quanto di più produttivo si possa fare per aiutare i bambini a comunicare con parole sempre nuove e, perché no, anche con precocità. Non è mai troppo presto dunque per portare un bebè a contatto con persone nuove, in contesti sempre diversi, creando così per lui l’occasione di sperimentare nuovi mondi ed esser stimolato in modo sempre diverso e creativo.
E che dire poi dei libri? Leggere è già dal primo anno di vita uno strumento dal potere sconfinato: non solo sarà il primo passo per fare del bambino un futuro amante dei libri, ma sarà anche un modo assai efficace per portare alla sua attenzione parole sempre nuove e stimolanti.
Ma cosa succede se le tappe non vengono rispettate? Bisogna allarmarsi se i conti non tornano?
Ogni bambino ha infatti un suo ritmo tutto particolare, ma ritardi significativi così come la precoce assenza di reazione agli stimoli esterni possono essere un campanello d’allarme che un genitore non può certo ignorare, anche perchè individuare intoppi o problemi presto vuol dire dare un significativo aiuto al bambino per superarli o affrontarli comunque al meglio.
I disturbi specifici del linguaggio (DSL), frequenti in età prescolare, sono disturbi transitori dello sviluppo del linguaggio. Si tratta in effetti dei disturbi neuropsichici più comuni tra i due e i sei anni, con un’incidenza rispettivamente :
disturbi possono essere “figli “di problematica di altro genere ma qualora fossero “puri”, ovvero non dipendenti da deficit sensoriali, neurologici o disabilità intellettive, i tre anni rappresentano lo spartiacque decisivo per accertarne la presenza. E’ qui infatti che un bambino semplicemente un po’ più lento degli altri si distingue da uno con problematiche legate al linguaggio.
Ovviamente attendere che il problema si risolva da solo è quantomeno errato: un intervento precoce è essenziale per evitare che la situazione degeneri e rivolgerci ad un centro specializzato è il primo passo per comprendere a pieno quale sia il problema specifico (in un universo ad onor del vero più che variegato) e affrontarlo nel modo corretto con risultati soddisfacenti.
Se intanto vi chiedete però cosa potete fare per supportare il vostro bambino, sappiate che gli accorgimenti sono pochi ma fondamentali, e autorevoli perchè sono quelli indicati dall’Ospedale Bambin Gesù:
Per il resto il consiglio migliore è quello di vivere con il vostro piccolo questo meraviglioso viaggio nell’apprendimento e sviluppo del linguaggio: qualche volta potrà essere un po’ difficoltoso, ma niente lo renderà meno emozionante e indimenticabile.
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