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Categoria News

In macchina lascia stare lo smartphone: uno spot shock

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Francesca Testa

Ricordate quando ci dicevano che telefonare alla guida era pericoloso? Be’, oggi quel gesto un po’ sconsiderato è diventato il meglio che ci si può aspettare da un automobilista un po’ superficiale.

Nell’era dei tweet, di Facebook e Whatsapp le minacce per l’attenzione del guidatore si sono letteralmente moltiplicate. Come resistere al trillo della notifica o al bip di un messaggino? Peccato però che simili tentazioni possono costar caro.

Un conducente è distratto mediamente per ogni singolo messaggio per ben 5 secondi” scrive l’Asaps Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale sul suo sito, specificando che “scrivere un messaggio guidando […] moltiplica per 23 il rischio di incidente stradale”.

Purtroppo dunque quella che gli anglosassoni chiamano FOMOFear of missing out»), ovvero l’ansia legata al timore di essere esclusi, di rimanere indietro, accresciuta notevolmente dai social network e dagli smartphone che ci consentono di esser sempre connessi, può rivelarsi una vera e propria malattia mortale.

Lo mette ben in luce la pubblicità shock diffusa di recente dal Ministero dei trasporti francese: un padre sale in macchina con il figlio, lo assicura al seggiolino e, pur essendo da lui pregato di voltarsi per vedere il disegno appena realizzato, non cede. “Devo guardare la strada” risponde, peccato però poi che lo squillo del cellulare riesce là dove il bimbo ha fallito: irresistibile la tentazione di vedere chi lo cerca e così non si rende conto della macchina che ha intanto frenato davanti a lui. C’è bisogno di specificare come è andata a finire? Guardate voi stessi…

 

 

La compulsione che, secondo una ricerca americana, ci porta a controllare lo smartphone circa 150 volte al giorno non è stata clemente con il signore francese: lo sarà con noi?

Tutto dipende da quanto saremo in grado di resistere alla tentazione e lasciare il cellulare nella borsa. Il messaggio e la notifica saranno ancora lì ad attenderci ma lo stesso non si può dire per la nostra vita o quella di chi viaggia con noi, vi pare?

Francesca Testa

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