Nelson Mandela, Madiba, se n’è andato a 95 anni il 5 dicembre. Un mese strano per andarsene, perché è il periodo di Natale. Un periodo di gioia e di nascita, di sorrisi. E Mandela, uomo “nero” in un Sudafrica che voleva solo essere bianco, il sorriso l’ha sempre conservato. Nemmeno i 27 anni di prigionia a Robben Island, in una cella di due metri quadrati, con le guardie che disprezzavano i detenuti neri e li chiamavano «Kaffir boy» (termine oggi bandito), glielo hanno tolto.
Forse di Mandela ci mancherà soprattutto questo: quell’ampia parentesi all’insù che era la sua bocca quando scoppiava in una sonora risata. Lui che di motivi per sorridere, fino al 1990 quando è uscito di prigione, ne aveva avuti ben pochi: essere leader di un movimento a favore dei diritti dei neri lo aveva appunto condannato alla galera e ancor prima, come riporta il quotidiano La Stampa, quando aveva incominciato a studiare giurisprudenza aveva potuto cogliere il disprezzo di chi, essendo bianco, si era spostato di posto per non sedersi vicino a lui. Anni dopo Madiba aveva provato a ricontattare quell’uomo “dalle grandi orecchie a sventola”, ma era morto. “Peccato: non gli ho serbato rancore“.
Le persone come Mandela sono un monumento per l’umanità. Non a caso ne nascono pochissime e mai insieme nello stesso momento storico. In realtà, noi siamo stati fortunati, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi l’azione di due figure ormai storiche:
- Papa Giovanni Paolo II
- e appunto Madiba.
Due persone diverse, ma forse anche un po’ simili, entrambe capaci di sopportare fisicamente il dolore: il Papa quello della malattia, Mandela quello dell’ingiustizia. E lo hanno sopportato sapendo che il loro sacrificio sarebbe servito a qualcosa di più grande. Hanno attirato a sé folle di persone, politici, rock star. Non a caso uno è quasi santo, l’altro premio Nobel per la pace.
Per fortuna Mandela ha vissuto una lunga vita, anzi una seconda vita dopo quella che gli era stata tolta e per il suo Paese, di cui è stato presidente dal 1994 al 1999, ha potuto realizzare grandi cose. Ha scardinato un’idea di mondo sbagliata.
Ha chiesto agli “Springboxs” la nazionale di rugby sudafricana di impegnarsi e vincere la coppa del Mondo di rugby. E nel 1995, come abbiamo visto nel film di Clint Eastfood “Invictus”, l’ha alzata insieme alla squadra.
Perché il suo era il sorriso delle azioni impossibili. Eppure forse, non così tanto.
Lui era anche un nonno, di ben 18 nipoti. Si è infatti sposato 3 volte, ha avuto 6 figli, 4 femmine e 2 maschi, di questi 2 maschi e 1 femmina sono purtroppo morti prima del padre.
Una delle figlie, Zenani ha recentemente detto: “A mio padre, credo, piacerebbe essere ricordato come un uomo di famiglia, come colui che se riuscisse a cambiare la mente di una persona, è solo aver fatto il suo lavoro…Mio padre non si sofferma su chi è, lui si sente solo un normale essere umano.”
E allora è così che proveremo a ricordarlo, come un nonno sorridente che tutto vorremmo avere…ma che in parte abbiamo avuto.