Su facebook ho scritto un post in cui mi dicevo arcistufa di quelle mamme che in automatico chiedono ad un’altra madre se hanno allattato al seno e perché non hanno allattato, dando per scontato che, per forza, bisogna farlo se non si hanno dei problemi particolari. Credo che se volessi darmi alla politica, fonderei un partito che si chiamerebbe “Tetta free” il cui slogan sarebbe “Liberiamoci dal potere della ghiandola mammaria” (avevo poi già scritto una riflessione anche qui).
Allattamento al seno: una mamma interviene nel dibattito
Io oggi, lo dico chiaro e tondo, mi voglio schierare apertamente a favore di quelle donne che non hanno allattato al seno e hanno scelto di farlo consapevolmente. Sono delle stronzemeschineegoiste che preferiscono allattare il bimbo al biberon piuttosto che offrire loro una tetta? No. Io appartengo a questa categoria e devo dire che mamma degenere io non mi ci sento per niente.
Piuttosto ti ci fanno così sentire gli altri, e soprattutto altre donne, che in un momento di fragilità invece di rincuorarti ti dicono: “mi sembra assurdo non volerlo allattare anche se hai il latte“.
Io il latte ce lo avevo, ma Paola non si è mai attaccata: cosa avrei dovuto fare? Mi sono massacrata con il tiralatte ed ero più una mucca che non una che dava nutrimento al proprio figlio. Aveva senso così? No, eppure quando disperata chiedevo consiglio, mi veniva detto da più parti che avrei dovuto avere pazienza, anche a costo di non far mangiare mia figlia. Ecco, lì non ci ho visto più: per il mito del latte materno avrei dovuto farla piangere e disperarsi?
Prima di partorire mi apparteneva tutta la leggenda dell’allattamento. Ora invece non ce l’ho più. So benissimo che è il meglio per il bambino:
- gli trasmette le difese immunitarie,
- è sempre pronto,
- rapido
- ed economico.
Ma, e tutte le mamme con cui ho parlato me lo hanno confermato, è anche un grosso sacrificio. Vuol dire:
- svegliarsi ogni ora e mezza due nel cuore della notte,
- non poter andare in nessun posto per almeno sei mesi senza bambino,
- non essere più libera.
Io non mi sentivo serena a questo pensiero. Volevo dare a Paola la mia serenità, per trasmetterla a lei. E io ero solo stressata ed ansiosa.
In più avevo il problema del lavoro: sono dovuta ritornare presto a scrivere perché non ho la maternità. Cosa avrei fatto se mi avessero tolto le collaborazioni? Non potevo permetterlo e questo significava stare fuori di casa tutto il giorno, almeno alcuni giorni: come avrei potuto allattare la bimba se non c’ero? Certo, avrei potuto tirarmi il latte, ma dopo due settimane ero piena di vesciche per il troppo calore dell’aspiratore.
Allora mi sono interrogata sulla fatale domanda: che cosa significa essere madri? Io, dopo tanto penare, mi sono data la risposta: trasmettere al proprio bimbo la gioia di vivere cercando ogni giorno di educarlo per la sua persona in divenire, ascoltandolo il più possibile. E questo lo si può fare benissimo anche senza capezzolo in bocca (almeno per adesso, niente facili battute, please).
E voi unimamme? Che cosa significa per voi essere madri?