Allora: da quando sono diventata mamma sono retrocessa ad un stadio da “fanciullina” che mi piace molto. Gioco, soprattutto, cosa che quando ero nell’età per fare non ho mai praticato molto, perché – e vi prego di non prendermi in giro – ero più intenta a costruirmi una cultura sulle telenovelas venezuelane, tipo Topazio e La Donna del Mistero.
Tralasciando questa parentesi abbastanza inutile, oggi vi vorrei parlare di un’interessante ricerca compiuta dallo psichiatra statunitense Daniel Stern, che ha riconosciuto il ruolo fondamentale del linguaggio “maternese” nello sviluppo dei neonati.
E che cos’è questo nuovo idioma? Non è altro che un’insieme di “gioco di sguardi, gesti, baci, vocalizzazioni, sorrisi, risatine” con cui comunicano mamma e figlio.
Si tratta di un vero e proprio dialogo sociale, che, con la sua ripetitività permette giorno dopo giorno al bambino di sentirsi più sicuro. In sostanza, quello che noi comuni mortali credevamo “neonatese”, in realtà è un adattamento naturale che hanno mamma e bambino.
Per esempio io ripeto sempre a Paola “cneck cneck” perché lei lo dice a sua volta; quando lo dico io ride di gusto, come se le stessi raccontando una barzelletta dal finale divertentissimo.
Le ricerche, come riporta l’articolo de La Stampa, sottolineano come utilizzare questo linguaggio fin da subito aiuti i bimbi a raggiungere prima le tappe fondamentali dello sviluppo, ad esempio a sorridere prima. Parlare “il maternese” ha influssi positivi sui figli, così come ha ripercussioni negative sui bambini a cui non si sia prestata questa “cura affettiva” (ad esempio quando le mamme sono depresse).
Insomma, noi mamme abbiamo un sacco di potere sui nostri figli: usiamolo bene!
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