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Categoria Salute e benessere bambini

Gli “orfani bianchi”: 80 mila i figli rimasti da soli in Romania

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Valentina Colmi

La cifra fa davvero paura: sarebbero 80 mila, secondo quanto riportato dallo studio di Andrea Rampin a Il Fatto Quotidiano, ricercatore dell’agenzia Codici e direttore della onlus Bambini in Romania, i bambini costretti a crescere senza la mamma, che spesso si trasferisce in Europa per assistere anziani o disabili.

Maria, ad esempio, è partita per l’Italia quando il primo figlio aveva 13 anni e il secondo 6. Quando è tornata in patria, il primo era laureato e il secondo diplomato: si è persa tutta la loro crescita e stando lontano così tanto tempo, oltre a non stare vicino ai figli, donne come lei, per lo più appunto rumene, non hanno più radici nel posto dove sono nate e non riescono a non pensare a se stesse se non attraverso la ripetizione dei gesti quotidiani dell’accudimento che facevano durante il lavoro. 

Un dramma di cui però ancora poco si parla, soprattutto in Romania, dove appunto gli “orfani bianchi” – così vengono chiamati i bimbi che non hanno uno o più genitori perché lavora all’estero – sono circa  il 60% dei bambini e chi non ha una rete famigliare resta completamente solo.

Un fenomeno che si è ulteriormente aggravato dopo l’entrata in Europa della Romania nel 2007. Queste donne inoltre, neppure volendo potrebbero fare il loro lavoro in patria: in Romania infatti le badanti non sono riconosciute e quindi non avrebbero nemmeno uno stipendio.

Qui in Italia era nato il progetto Te iubeste mama (La mamma ti vuole bene) che permetteva di far parlare le madri con i figli via Skype: oggi è sospeso per mancanza di fondi.

Da madre non posso fare a meno di pensare a Daria, che non era rumena, ma ucraina e che per sei anni è stata la badante di mia nonna durante il primo periodo dell’Alzhaimer.  Daria in patria era un medico ed era madre di due figli, che si sono sposati senza di lei. E’ diventata nonna e per un paio d’anni ha visto i suoi nipoti solo in foto. Ora è ritornata a casa, non vive più in Italia. Eppure forse nella sofferenza si riteneva più fortunata di altre, perché almeno aveva trovato un lavoro che le permetteva di mantenere la famiglia, dopo la morte del marito.

E voi unimamme, avevate mai considerato questo aspetto? Parlatecene, se vi va.

Valentina Colmi

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