Sono questi i fondamenti di un articolo di Beppe Severgnini che ci spiega perché secondo lui vivere in un mondo ovattato, fatto di soddisfazione e tranquillità, non è la scelta educativa migliore.
L’insegnamento più evidente arriva dalla letteratura, ogni romanzo di formazione si basa sulla paura. Partendo da La linea d’ombra di Conrad e arrivando a Open di Agassi (scritto con la collaborazione di J. R. Moehringer) ogni storia di crescita affronta un nemico fondamentale: la paura. Non è un caso. L’età adulta non riguarda il superamento di questa emozione, non è un traguardo dopo il quale si può riposare in pace. Piuttosto è un’accettazione dei dubbi, dei timori precedenti.
Si potrebbe dire che l’età adulta è la capacità di affrontare e gestire le paure della vita. Al contrario chi è cresciuto in una culla, circondato da tranquillità, non cresce, rimane nel luogo dove è sempre stato. Allo stesso modo di chi ha vissuto nella soddisfazione.
Come genitori, o come futuri tali, abbiamo una responsabilità nei confronti dei nostri figli: fargli fare esperienza. Chiuderli in una gabbia d’oro in cui tutto sia felice e perfetto porterà solo alla formazione di individui statici, incapaci di affrontare l’età adulta quando busserà alla porta.
Dal gioco dei primi anni che può, e forse deve, essere rischioso, fino alla maggiore età, il campo che lasciamo ai nostri figli per fare esperienza deve essere vasto e pieno di pericoli. Dev’essere libero e dobbiamo valutare i risultati e non il modo. Per loro saremo un punto di ritorno. Saremo l’affetto sicuro, a prescindere dagli sbagli. Non una prigione statica in cui non può succedere nulla.
Perché, e crediamo che le nostre unimamme saranno d’accordo, come dice Severgnini: “Chi è libero di gestire il proprio tempo, di solito, è felice. Chi è felice, lavora e studia bene. Chi studia e lavora bene, quasi sempre, produce risultati.”
E voi unimamme lasciate liberi i vostri figli di sperimentare, affrontando le loro e le vostre paure?
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