In tante famiglie dove ci sono dei bambini piccoli esiste quello che è definito l’angolo del Time-out, ovvero della pausa-riflessione, proprio come spesso si è anche visto nei vari programmi televisivi, quelli dove le tate entrando in alcune famiglie con bambini problematici indicano il comportamento che i genitori devono adottare per contrastare un eventuale momento di crisi.
Questa era anche la tendenza negli anni ’90, ma a quanto sembra proprio i bambini che allora subivano questo genere di punizione siano diventati poi giovani aggressivi.
Se il momento del time-out aveva lo scopo di far riflettere sull’accaduto il diretto interessato in realtà non faceva altro che incattivire lo stesso destinatario della punizione. Questo quello che sostiene Tovah P. Klein, autore del libro “How Toddlers Thrive: What Parents Can Do Today for Children Ages 2-5 to Plant the Seeds of Lifelong Success” (Come i bambini crescono bene: cosa possono fare oggi i genitori di bambini di età dai 2 ai 5 anni per piantare i semi di un successo permanente).
Tovak P. Klein, come riportato dal sito TheStir,è convinto che questo metodo abbia 2 grosse pecche:
In realtà egli sostiene che per un bambino agitato o turbato, comunque incontrollabile, la classica pausa di riflessione non fa altro che acuire i suoi sentimenti e le sue frustrazioni.
I time-out, sempre secondo lo studioso, diventano un “gioco di potere da parte del genitore che vuole prendere il controllo del comportamento negativo sul bambino” che mette lo stesso bimbo in una posizione di imbarazzo e che lo induce a domandarsi se il genitore lo ama o meno. Sono proprio i momenti difficili, incontrollabili e ricchi di rabbia quelli in cui i bambini hanno più bisogno delle attenzioni dei genitori.
Secondo alcuni esperti, poi, i momenti di time-out a lungo andare possono provocare effetti negativi sul bambino che spesso, per evitarli, tende a reprimere i suoi momenti di difficoltà e di dolore. Invece, i bambini sono in grado di assumersi la responsabilità delle loro azioni, sia quelle positive che quelle negative.
Con questo metodo punitivo i piccoli imparano a evitare la punizione e non a comportarsi, i time-out, quindi, non affrontano il problema ma lo aggirano e lo stesso problema si ripresenterà in altri momenti e in altri modi.
E allora come bisogna comportarsi per gestire un momento di difficoltà e di rabbia di un bambino?
Bisogna parlare con i bambini e comprendere il motivo della loro frustrazione, essi devono capire che i genitori sono loro alleati e non nemici da affrontare.
È compito dei genitori far comprendere ai propri figli che per ogni comportamento corrispondono delle reazioni, anche e soprattutto i comportamenti inadeguati.
Il dottor Zak Zarbock, pediatra e fondatore di Zarbee’s Naturals, consiglia di praticare tecniche di “genitorialità positiva” con i propri figli.
La “genitorialità positiva” è qualcosa che richiede uno sforzo coscienzioso e che si costruisce col tempo, una specie di cerchio della fiducia tra genitori e figli entro il quale confidare tutte le paure, le ansie e le preoccupazioni.
Si tratta di costruire un rapporto di amore e di fiducia con il bambino e fargli sapere che i sentimenti come la rabbia, la frustrazione e la tristezza sono normali e va bene. Bisogna solo saperli affrontare. È indispensabile far comprendere ai bimbi come esprimere le proprie emozioni in modo sano, piuttosto che sopprimerle.
Sembra facile a dirsi ma se non proviamo a metterlo in pratica non possiamo sapere se lo è o meno. E allora cerchiamo di mettere da parte i metodi coercitivi e cerchiamo di comprendere che i bambini hanno tutte le capacità per comprendere quello che gli dicono i grandi, bisogna solo trovare le parole giuste e i metodi più appropriati.
Voi care unimamme avete qualche metodo da condividere con noi circa il metodo da utilizzare nei momenti difficili?
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