Se ciò è vero oggi, fino alla metà del secolo scorso, in Italia, il momento del parto era un vero e proprio momento da incubo poiché spesso si partoriva senza l’ausilio di nessuno.
Solo all’inizio del XX secolo, infatti, divenne necessaria e obbligatoria nel nostro paese la presenza di un’ostetrica capace di gestire i momenti di crisi e di aiutare la gestante a partorire senza eccessive problematiche.
Purtroppo, però, non in tutti i luoghi vi erano ostetriche diplomate anche perché poche erano le scuole in cui si insegnava ostetricia.
Fino a qualche tempo fa, poi, il parto era considerato, soprattutto nelle realtà rurali, un “affare di donne” per cui, nel momento topico gli uomini venivano fatti allontanare dalla casa della partoriente che, nel frattempo, si riempiva di femmine, tutte alle dirette dipendenze della “mammana”, la levatrice nominata dai compaesani, quindi senza alcun titolo.
Secondo le antiche credenze bisognava creare un’atmosfera favorevole priva di qualsiasi cosa potesse turbare la serenità della partoriente per accogliere il nuovo nato.
Una credenza che accomunava tutti, dal sud al nord, riguardava i gomitoli e le matasse che erano assolutamente vietati da tenere in vista durante il travaglio perché ne avrebbero allungato la durata.
In Ciociaria la stessa cosa valeva per le pere che, vista la loro forma, avrebbero potuto fare “da tappo” al nascituro.
Marche – In questa regione le persone che avevano subito un lutto abbastanza recente venivano bandite dalla casa in cui viveva la partoriente.
Lazio – Le persone con qualche malformazione o menomazione dovevano stare lontani dalla donna gravida per evitare che la stessa partorisse un bimbo con le stesse menomazioni.
Campania – Assolutamente vietato l’accesso ai menagramo, ovvero coloro che portavano jella.
Friuli – Per niente ben accette le persone litigiose e violente.
Sicilia – In Trinacria la tradizione voleva che nei paraggi non dovevano esserci donne di facili costumi. Assolutamente gradita, invece, colui che era stato in grado di attraversare per tre volte il canale di Sicilia perché sicuramente una persona baciata dalla sorte.
Questi i metodi per lenire e rendere meno doloroso il momento del travaglio:
Sabina (tra Umbria, Lazio e Abruzzo) – Davanti al ritratto della protettrice delle partorienti, Sant’Anna, le partorienti recitavano la frase “Santa Liberata fa che dolce sia l’uscita, come dolce fu l’entrata”.
In Veneto si usava pettinare la donna in procinto di partorire per farla rilassare.
Nella città di Venezia si serviva alla gestante della camomilla con olio bollente per “lubrificare”.
In Sicilia si spargeva sotto al letto della ghiaia di mare.
In Abruzzo si bagnavano le parti intime della donna con acqua benedetta e si metteva una scure sotto i suoi piedi.
In Ciociaria si asciugava il sudore con un drappo rosso.
A Treviso si bruciavano dei rami di ulivo benedetto.
In Sardegna si appendeva al collo della futura mamma un ferro di cavallo mentre si sparavano colpi di fucile in aria per spaventare gli Spiriti Maligni e tenerli lontani dall’abitazione.
A Cagliari e dintorni si addossavano le colpe di questa sofferenza al futuro papà per cui le assistenti al parto posavano di fianco alla partoriente i pantaloni del marito e li percuotevano imprecando contro il povero malcapitato.
In alcune località poi si riteneva l’uomo fosse più capace a sopportare il dolore per cui si facevano indossare alla donna i suoi indumenti con la speranza che il dolore passasse al marito:
In Romagna la partoriente veniva massaggiata con una camicia del marito.
Nel Lazio le facevano indossare una cintura del futuro papà.
A Venezia le mettevano un calzino intorno al collo.
Nel Comasco veniva letteralmente ricoperta di indumenti appartenenti all’uomo di casa.
In Sardegna, poi, se il travaglio era troppo lungo il marito si recava in chiesa a tirare la corda delle campane con i denti in modo che chi le sentiva poteva pregare per la donna.
In Sicilia, la mammana esortava il nascituro ad accelerare la sua venuta al mondo recitando la stessa filastrocca tante volte:
Nesci nesci, Cosa fitènti,
ca lo cumanna Diu ‘nniputenti.
Veni fora e nun tardari,
ca a tò matri hai libirari.
Che tradotto vuol dire:
Vieni fuori, dolore
te lo ordina Dio Onnipotente.
Vieni fuori e non tardare,
che a tua madre devi liberare.
Potrà sembrare strano ma ancora oggi, in alcuni luoghi d’Italia, si continua a credere a questi rituali secondo i quali la donna partoriente trovi giovamento.
E voi unimamme avete da raccontarci qualche tradizione del luogo in cui abitate? Qualcosa che magari sembra desueto e che invece risulta essere ancora molto attuale, come queste chicche trovate su un blog di una scrittrice, nonchè ex professoressa, Mitì Vigliero?
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