Perché le mamme di oggi non si aiutano più tra di loro?

Quattro giovani donne con i loro figli

Io credo di essere un’anima solitaria. Non sono mai stata particolarmente socievole e di amici faccio fatica ad averne. Forse non mi adeguo al protocollo sociale – come direbbe Sheldon della serie tv “The Big Bang Theory” – ma ora che sono madre e che avrei voglia di parlare con altre donne che vivono la mia condizione e magari non solo di quello, mi sento abbastanza fuori dai giochi.

Mi ha fatto riflettere il bel pezzo di Bunmi Laditan sull’Huffington Post intitolatoI miss the village“: l’autrice dice che le manca vivere in un piccolo paese, dove tutti si conoscono e dove le mamme si danno una mano a vicenda. Le mamme possono però essere anche un “villaggio” metaforico: una rete di aiuto e di supporto che ti accoglie quando sei in difficoltà.

Eccone un pezzo tradotto.

Mi manca il villaggio non ho mai avuto. Quello con le madri a fare il bucato fianco a fianco, a chiacchierare e ridere istericamente, stanche nel corpo ma veloci nello spirito. Ci conosceremmo così bene: disturbandoci di tanto in tanto, ma senza mai restare a lungo arrabbiate. Perché la verità è che abbiamo bisogno l’una dell’altra.

I bambini si sveglierebbero presto, come usano fare, e correrebbero fuori, cercandosi tra gli alberi ad alto fusto. Scomparirebbero nei campi e nella foresta per una giornata di gioco, così come noi inizieremmo il nostro sacro lavoro. Impasteremmo il pane fianco a fianco, i piccoli ai nostri piedi, ai seni, sulle spalle o in braccio. Sarebbe impossibile dire a chi appartengono i figli – tutte parteciperemmo al gruppo dei piccoli, controlleremmo i bambini che respirano profondamente, sposteremmo piccole mani dalla nostra tavola infarinata, pizzicheremmo guance e baceremmo punture.

Le giornate sarebbero piene di conversazione perchè avremmo sapientemente allenato un muscolo che da allora è diventato debole: l’arte di ascoltare. Empatia tranquilla al posto di un giudizio passivo, e quando richiesto, un gentile e sincero consiglio. Nel nostro villaggio, i membri sarebbero le nostre proprietà e noi le costruiremmo.

Rideremmo – troppo, e mai abbastanza, allo stesso tempo. Sia con risatine soffocate che traboccano dalla bocca come l’acqua di una pentola coperta che bolle, sia con risate simili al verso degli asini o abbastanza forti da svegliare i bambini, saremmo abili a trovare la gioia nella cose banali.

Piangeremmomai da sole, ma spalla a spalla per bambini non ancora nati andati via troppo presto o uomini che hanno cambiato idea. Ricuciremmo i bordi sfrangiati delle vite di ciascuna al meglio che possiamo, asciugandoci le lacrime dalle reciproche guance. Se qualcuna di noi si perdesse nel buio, viaggeremmo nelle profondità del suo cuore e riporteremmo il suo corpo a riva.

Al momento del pasto metteremmo il cibo su lunghi tavoli all’aperto ed i bambini mangerebbero volentieri e avidamente, come tendono a fare quando sono in compagnia di altri bimbi piccoli. Parlerebbero delle loro avventure e, nel momento in cui avessero una reazione esagerata, faremmo loro prendere i bambini più piccoli ed insegneremmo loro ciò che già sappiamo: noi esistiamo per l’altro.

Quando una di noi fosse malata o avesse bisogno di riposo supplementare per aver passato una lunga notte con il bambino, piomberemmo e ci occuperemmo del suo bambino come faremmo con i nostri per per tutto il tempo necessario – senza nemmeno il bisogno di chiedere. Potreste farvi una rigenerante dormita con la massima fiducia. Vi vorremmo in forma perché sole siamo forti come il nostro membro più debole – e non solo, vi ameremmo non con un amore smielato fatto di biglietti di auguri, ma con un amore che apprezza perchè che ha piena conoscenza di come i vostri colori si aggiungono al nostro mosaico.

Voi mi conoscereste e io conoscerei voi. Conoscerei i vostri figli e voi conoscereste il mio. Non solo a livello superficiale – cibi preferiti, giochi e così via – ma una conoscenza reale, vera dell’anima che sfarfalla dietro i loro occhi. Mi fiderei di lasciare i figli nelle vostre braccia proprio come mi fiderei delle mie. Vi rispetterebbero e ascolterebbero il vostro “no”.

E non appena i nostri figli fossero cresciuti e andati via e la nostra pelle fosse sottile come la carta, continueremmo a fare il pane, condividendo tè, storie di bei nipoti, e delle cose di una volta.

Mi manca quel villaggio delle madri che non ho mai avuto. Quel villaggio che abbiamo scambiato con delle case che, pur essendo a due passi, sembrano essere a chilometri di distanza l’una dall’altra. Quel villaggio che abbiamo scambiato con delle porte chiuse, dei dispositivi lampeggianti e con pomeriggi da sole sul pavimento a giocare con i nostri piccoli.”

Anche a me manca vivere in un villaggio metaforico fatto di mamme. Fondamentalmente io e mio marito ci siamo sempre “smazzati” Paola da soli. Un po’ per scelta, un po’ perché tranne una coppia di amici a cui possiamo affidarla senza problemi, io trovo che tra donne non ci sia molta solidarietà. Quelle che già si conoscono e hanno figli fanno fatica ad allargare nel gruppo dei nuovi membri.

Mi è capitato di andare con la bimba in alcuni posti, come in libreria, e di vedere delle mamme con dei bambini più o meno della stessa età. Allora mi sono diretta verso le suddette madri e suddetti nani dicendo a Paola: “Guarda, un bimbo salutiamolo!“. Se i bambini si “annusavano” con curiosità, mi è sempre sembrato di leggere negli occhi delle altre donne una sorta di fastidio, quasi come se lei e il figlio fossero una sorta di diade indivisibile.

E che dire delle amiche incinte? Quando scrivo e chiedo se stanno bene, la risposta è sempre la stessa: “Sono felice, ciao”. Niente dubbi, consigli, ansie? Non capisco perché ad un certo punto della vita le donne si rimbambiscono.

Sì, decisamente sarebbe bello avere intorno un villaggio di mamme (normali).

 

(Fonte: Huffington Post)

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