Più che una questione di errore di giudizio verrebbe da puntare l’indice contro la lentezza della macchina giuridica italiana, che in questo caso, forse più che in altri, mostra la sua inadeguatezza nel trattare casi così delicati.
La storia è semplice: i genitori di Alessandro si separano quando lui ha due anni. Il padre si trasferisce a Cosenza e la madre rimane a Palermo. Parte una causa per l’affidamento del bambino che al momento rimane con la madre. Sei anni dopo, quando Alessandro ha ormai otto anni e ha costruito il suo mondo arriva il verdetto: patria potestà al padre e trasferimento obbligato.
Enrico Fantaguzzi, responsabile del gruppo gruppo Facebook “Io ho una persona con autismo in famiglia“, è intervenuto su richiesta della madre per cercare di portare un po’ di buonsenso. Il gruppo che conta più di 5600 membri ha scritto al giudice in massa chiedendo di rivedere la posizione. Perlomeno di non trasformare una sentenza che può essere giusta in un reale trauma per il bambino e prevedere delle fasi intermedie per permettergli di abituarsi.
Ecco alcuni stralci della lettera che le famiglie iscritte al gruppo hanno inviato: “Siamo 4.789 famiglie che hanno saputo sopravvivere ad un destino non favorevole trasformandolo in un punto di forza. Ci siamo chiesti come sia possibile che un tribunale Italiano, cioè di un paese fra i più avanzati al mondo possa emettere una sentenza così evidentemente incurante degli elementi basilari della patologia di cui soffre il bambino, l’autismo. Tutti ormai sanno che le persone con autismo hanno nei loro punti di riferimento come: gli ambienti conosciuti, le persone adulte di a loro vicine e la prevedibilità millimetrica di cosa avverrà nelle ore seguenti, i punti cardinali per potersi orientare nel nostro mondo così difficile per loro da interpretare. Come si può pensare di sradicare senza nessuna preparazione una persona con autismo dalle sue certezze in nome di un centro di terapia?”
Tra le motivazioni della sentenza infatti ci sarebbe un centro d’eccellenza per l’autismo in Calabria, struttura invece assente in Sicilia. Fantaguzzi afferma che la realtà è ben differente, ma che se anche fosse la realtà “non potrebbe giustificare un trasferimento così improvviso, senza alcun training, senza un minimo di gradualità. Questo ragazzo non ha mai messo piede nella casa paterna e ha avuto pochi contatti con lo stesso padre: quello che sarebbe traumatico per qualsiasi ragazzo, in presenza di un bambino autistico diventa devastante: verranno a mancargli, all’improvviso, tutti i punti di riferimento così importanti. Senza contare che il padre, non avendo mai vissuto con lui, non conosce le sue problematiche, le sue ‘manie’, i suoi bisogni: deve essere aiutato a conoscerli”.
L’attuazione del provvedimento allo stato dei fatti non è in discussione, ma la speranza è che si possa trovare una via meno traumatica per il trasferimento del bambino. Come abbiamo già visto in passato l’autismo più che medicine necessita di cure, di ascolto e di supporto. Speriamo che la storia di Alessandro possa essere almeno di esempio per casi futuri.