Sappiate che episodi del genere accadono anche negli Stati Uniti! Ancora oggi infatti in molte carceri le donne durante in momento del travaglio e del parto vengono ammanettate ai polsi e alle caviglie, o anche intorno alla pancia, e questo nonostante questa pratica, chiamata shackling, sia stata proibita in ben 21 Stati degli USA.
A denunciare questo illecito subito dalle donne è stata la Correctional Association, un’organizzazione no-profit che tutela i diritti delle donne recluse incinte. La stessa organizzazione ha condotto un’indagine in un carcere femminile nello Stato di New York, secondo la quale 27 donne intervistate ben 23 hanno dichiarato di essere state ammanettate dal momento del travaglio fino alla nascita del bambino, e private così della libertà di movimento.
La detenuta Jacqueline racconta delle violenze subite nel 2012 subito dopo un parto cesareo d’urgenza. Le guardie le legarono una grossa catena attorno al ventre, alla quale erano attaccate le manette, incuranti del taglio appena suturato provocandole dolori lancinanti. Ancora a distanza di anni Jacqueline racconta “Era come se mi stessero riaprendo la ferita”.
Tina, nel 2011, in preda ai dolori delle contrazioni fu incatenata alla barella per essere trasportata in ospedale e liberata solo a ridosso del parto.
In Arkansas, nel 2003, Shawanna visse 12 ore di travaglio con manette ai polsi e alle caviglie davanti al gelido ufficiale di custodia che non le concesse alcun privilegio nonostante le sue numerose richieste di aiuto.
Per fortuna tante sono, oggi, le associazioni che si stanno muovendo in soccorso delle donne incinte recluse, che vengono lese nei loro diritti umani, una tra tutte è WORTH: Birthing Behind Bars, un’associazione di New York attraverso la quale le donne vittime di questa violenza, condividendo le loro esperienze, urlano al mondo la loro richiesta di aiuto.
Uno dei momenti più delicati e intimi per una donna è proprio il momento del travaglio e del parto ed essere vittime di violenza in questo frangente è davvero menomante. Con l’augurio che questa prassi cessi di essere utilizzata e che le donne, anche quelle che scontano una pena in carcere, possano vivere la nascita del proprio figlio con maggior serenità esprimiamo la nostra stima e il nostro appoggio a tutte le associazioni che lottano per i diritti delle donne.
E voi, unimamme, cosa ne pensate a tal proposito? Credete anche voi, a prescindere dalla pena che devono scontare, che sia ingiusto, anche nei confronti del bambino che deve nascere, vivere il parto in manette?
(Fonte: TheNewYorkTimes)
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