Care Unimamme oggi parliamo di conflitti con i figli, partendo da un “mantra”: “Urlare non serve a nulla“; una frase che oltre ad essere un sintetico ma rappresentativo consiglio è anche il titolo del libro scritto da Daniela Novara, uno dei maggiori pedagogisti italiani. Edito da BUR ed in libreria da questo mese, spiega come “imparare a litigare“.
Se infatti le urla non servono affatto a risolvere i conflitti, affrontarli in un maniera costruttiva è uno dei modi più efficaci per educarli ed aiutarli a diventare adulti maturi ed autonomi, ed a sapersi rapportare con gli altri.
“Imparare a litigare bene con i nostri figli li aiuterà a diventare uomini e donne competenti, in grado di affrontare con successo le sfide e la complessità del futuro che ci attende” – ha detto l’autrice del libro a Repubblica, a cui ha rilasciato una interessante intervista che vogliamo riproporvi come utile spunto e canovaccio di buoni consigli, da mettere in tasca e tirar fuori al momento opportuno magari quando, dopo una giornata stressante o un momento particolarmente difficile, la pazienza va via e diventa davvero complicato mantenere la lucidità ed il distacco.
Se vostro figlio a 5 anni affoga in un pianto disperato tutte le sere perché vuole dormire nel lettone con voi cosa fareste? Secondo la Dott.ssa Novara la reazione a questa situazione è un ottimo esempio per spiegare due tipi di approccio genitoriale, ecco come lo spiega su Repubblica:
La mamma: “la mamma, continua a essere quella figura protettiva che si occupa dell’accudimento. Il suo ruolo è innanzitutto biologico: porta nella pancia per nove mesi il proprio bimbo o la propria bimba; sente una spinta naturale ad occuparsene, a tutelarlo, a fare in modo che sopravviva, specialmente nel primo anno di vita in cui c’è un bisogno particolare. Il primo, e in parte anche il secondo anno di vita richiedono una dedizione materna assoluta: è il momento dell’attaccamento primario che crea le basi della fiducia in se stessi. Poi la situazione cambia: occorre cominciare a mettere dei paletti e delle regole. Ma la mamma resta colei che svolge principalmente un compito di cura. Certamente le madri possono trovarsi in difficoltà rispetto al proprio ruolo, ma storicamente questo aspetto c’è sempre stato, non si è modificato di molto.”
Il papà: “la vera crisi educativa dei nostri giorni è una crisi del ruolo paterno. Quando parlo di paterno educativo intendo un insieme di comportamenti che non sono necessariamente legati alla figura del padre. Il ruolo paterno esprime la giusta distanza dai figli, le regole necessarie e chiare, lo slancio vitale, l’assunzione del rischio e del coraggio come elementi fondamentali per crescere: è imprescindibile, ma nei casi in cui il padre sia proprio assente il suo ruolo può essere assunto anche da figure femminili. Non sento la nostalgia di un paterno tutto d’un pezzo, severo, indiscutibile, spesso comunque assente. Però occorre un padre che faccia da sponda, normativo ma allo stesso tempo vitale. Un modello, necessariamente imperfetto, di come si può affrontare l’incertezza, il rischio, le difficoltà dell’esistenza con coraggio, esprimendo tutte le proprie potenzialità e risorse. È una nuova figura di padre, forse ancora inedita, ma su cui si giocano molte delle sfide educative dei nostri giorni.”
Come si fa a diventare un genitore educativo?
“Ci si fa delle domande. Si osserva quello che accade e si cerca di individuare, insieme all’altro genitore quando questo è possibile, qual è l’effettivo bisogno del proprio figlio e della propria figlia e la strategia da utilizzare. Le chiavi di volta sono l’organizzazione e la coesione: rendersi conto che per aiutare i nostri figli a diventare grandi, in questi tempi così complessi e veloci, non è possibile affidarsi al caso o all’emozione del momento, e che occorre procedere insieme. Bisogna prepararsi. Il consiglio che do spesso ai genitori è: dedicate del tempo a parlare fra voi due dell’educazione dei vostri figli.”
Ecco una serie di domante che insieme, mamma e papà potete farvi:
È inutile scandalizzarsi e invocare i bei tempi andati di fronte alle reazioni oppositive, ai capricci, alle bugie, alla bulimia di desideri e emozioni, ai comportamenti sbagliati. I bambini e i ragazzi fanno il loro lavoro: diventano grandi. Il compito dei genitori è aiutarli e accompagnarli in questo percorso.”
Queste le risposte ed i consigli di questa illustre pedagogista. E voi care Unimamme, che genitore pensate di essere? Emotivo o educativo? Qual è l’atteggiamento più utile secondo voi da tenere, l’uno, l’altro o “un pò entrambi”?
Noi vi lasciamo con un nuovo metodo educativo secondo cui lasciar litigare i bambini fa bene.
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