Unimamme, arriva la fine dell’anno ed è tempo di bilanci persino per il Time che che ha deciso di incoronare, come persona dell’anno i coraggiosi operatori che stanno combattendo contro l’ebola.
Il managing editor Nancy Gibbs spiega con queste parole l’importante decisione: si tratta di persone che hanno “rischiato e insistito, che si sono sacrificati e hanno salvato vite umane“, laddove governi e organizzazioni sanitarie sono stati colti alla sprovvista nel fronteggiare l’improvvisa epidemia.
Contro l’epidemia uomini e donne coraggiosi
Per anni l’ombra dell’ebola è aleggiata sul continente africano, finché nel 2014 il focolaio è diventato una vera e propria epidemia alimentata dallo stesso progresso che aveva costruito strade collegando città e villaggi, sollevando dalla povertà migliaia di persone.
Questa volta l’ebola ha raggiunto baraccopoli affollate in Liberia, Guinea, Sierra Leone, viaggiando in Liberia, Mali, Spagna, Germania e Stati Uniti spazzando via le strutture di salute pubbliche che erano troppo deboli.
I governi locali non erano equipaggiati per combattere una simile calamità, alcune istituzioni hanno addirittura accusato i primi operatori di allarmismo.
Da parte loro Medici Senza Frontiere, i medici e le infermiere del Samaritan’s Purse insieme ad altre organizzazioni hanno lavorato subito fianco a fianco insieme al personale locale, agli autisti delle ambulanze e alle squadre di sepoltura.
L’autista di ambulanze sopravvissuto Foday Gallah prende la sua immunità come un dono: “voglio donare il mio sangue così molte persone potranno salvarsi. Ho intenzione di combattere l’ebola con tutte le mie forze”.
Gli fa eco l’infermiera liberiana Iris Martor: “se qualcuno arriva dall’America e dall’Uganda per aiutare il mio popolo perché io non posso farlo?“.
Il dottor Kent Brantly, sopravvissuto alla malattia dice di avere ancora gli stessi difetti di prima, ma che attraversare un’esperienza così devastante offre un’incredibile opportunità di riscatto.
Volti dell’ebola: Salomè Karwah e la sua storia
Salomè Karwah, una delle persone scelte per rappresentare questa lotta ha raccontato di essersi ammalata tramite lo zio che aveva contratto a sua volta l’ebola trasportando una donna in una delle strutture di emergenza.
Da lì il contagio si è propagato al padre e poi alla mamma di Salomè, al fidanzato, alla sorella incinta e al nipote. “L’ebola è come una malattia di un altro pianeta. Porta con sé tanto dolore da poterlo sentire nelle ossa” ha riferito la donna nel corso di un’intervista col The Guardian.
Lei, come la sorella, il fidanzato e il nipote sono sopravvissuti, così non è stato per i genitori. “Dio non avrebbe permesso a tutta la famiglia di perire. Noi siamo sopravvissuti per uno scopo. Sono grata agli operatori che si sono presi cura di me e dei miei. Sono veramente delle brave persone. Le cure, le medicazioni, ma anche il sostegno possono fare molto“.
Una volta a casa alcuni vicini hanno continuato a guardare con sospetto lei e la sua famiglia, mentre altri le hanno chiesto aiuto per fare curare un parente nel centro dove era stata anche lei.
“Si tratta di una malattia che qualunque famiglia può contrarre. Se qualcuno la contrae non è bene stigmatizzarlo, perché non si sa chi sarà il prossimo” aggiunge Salomè. Ora la donna è tornata al centro dove è stata curata per aiutare le altre persone.
“Aiuto chi ha contratto il virus a riprendersi lavorando come consulente per la salute mentale. Aiutare gli altri è un piacere ed è questo che mi ha condotta qui. I miei sforzi possono aiutare le persone a sopravvivere. Incoraggio i miei pazienti con tutta me stessa, perché ho attraversato la stessa esperienza” prosegue Salomè ora pienamente realizzata nel suo ruolo e che conclude così: “racconto ai miei pazienti la mia storia per ispirarli e far loro sapere che di ebola si può guarire“.
Quello che vorrebbe farci capire il riconoscimento di Time Magazine è che noi possiamo dormire “sonni tranquilli” grazie a un coraggioso manipolo di persone che rischiano la vita, che combattono e usano compassione, impegno e dedizione per proteggerci da questo male e aiutare chi ne è affetto.
Dovremmo essere eternamente grati a queste persone no?
Unimamme, qualche tempo fa vi avevamo mostrato gli straordinari ritratti fotografici delle persone sopravvissute a questa terribile epidemia, segno di speranza in questa enorme tragedia.
Voi cosa ne pensate della scelta del Time? La sostenete?
Dite la vostra se vi va.
Fonte: Internazionale.it/ The Guardian/ Time.com