Durante la gravidanza una mamma si sottopone a numerosi controlli per accertarsi che il suo piccolo stia bene, tra di essi ve ne è anche uno più innovativo e meno invasivo, che dovrebbe andare a sostituire l’amniocentesi: il test del dna fetale.
Recenti studi compiuti dal New England Center for Investigating Reporting indicano però che questo tipo di diagnosi prenatale non è ancora affidabile e che è attendibile nella metà dei casi in cui il feto è ad alto rischio di malattie genetiche.
Dalle indagini è emerso che la percentuale di falsi allarmi è maggiore quando si tratta di malattie genetiche particolarmente rare.
Beth Daley, che ha condotto gli studi per 3 mesi, rimarca che le varie aziende fornitrici di questi test svolgono campagne molto aggressive per imporre il loro prodotto sul mercato, tralasciando però di informare in modo completo le mamme e i medici che se ne occupano.
Come sottolinea Athena Cherry, professoressa di patologia presso l’Università di Stanford, la grande preoccupazione è che le donne abortiscano senza sapere se i risultati dei test siano veritieri o meno.
Il test del dna fetale, lo ricordiamo, è un procedimento che si effettua sul dna placentare trovato nel sangue della mamma.
Daley aggiunge che le aziende mediche chiedono anche 1700 dollari per ogni test, creando quindi un mercato di test prenatali molto redditizio.
In uno dei comunicati di queste compagnie si legge che i test sono molto accurati, ma che falsi positivi e negativi possono verificarsi sebbene in percentuale minore rispetto agli esami più convenzionali.
La professoressa Cherry però non manca di rimarcare il dramma delle famiglie che hanno abortito pensando che il feto avesse gravi problemi di salute e che poi hanno tardivamente scoperto essere sano e quello di chi aveva ricevuto una diagnosi di un feto in salute che si è rivelata completamente falsa.
Le compagnie mediche quindi “si difendono” ricordando ai medici che il test del dna prenatale non è sostitutivo di altri esami come l’amniocentesi. Chi riceve risultati positivi dovrebbe approfondire gli esami, mentre i negativi non assicurano una gravidanza priva di complicazioni.
In giugno l’agenzia Food and Drug Administration ha promesso di cominciare a regolamentare alcuni test medici, tra cui anche quello del dna fetale, ma si tratta di una lotta contro le grandi compagnie mediche e dagli esiti incerti.
Per anni l’amniocentesi è stato l’esame principale, ma si può effettuare a 18 settimane di gestazione e un eventuale aborto può essere traumatico.
Esami non invasivi comportano rischi minori e si possono effettuare a 9 settimane di gestazione. Una donna, Stacy Chapman, era stata incoraggiata a fare il test del dna fetale dal suo medico. L’esito però indicava che il suo bimbo aveva una malattia molto grave e così la donna si era accinta a predisporre un aborto. Il suo medico però, fortunatamente, le ha consigliato esami più approfonditi da cui è emerso che il piccolo era sano.
Questo è solo uno dei casi in cui sono incorse tante mamme.
Il dottor Bryan Skotko infine avverte che la percentuale di accuratezza del 99% sbandierata dalle case produttrici si riferisce alla sensibilità del test in questione, che è un tasso di rilevamento che fornisce un risultato positivo non appena riscontra un’anomalia.
Affidarsi alla “sensibilità” di questo esame è dunque estremamente fuorviante. Per una corretta diagnosi vi sono anche altri fattori da tenere conto, come:
Anche il dottor Skotko raccomanda di rivolgersi a un esperto per avere risultati più certi e prendere decisioni con maggior consapevolezza.
Unimamme voi cosa ne pensate di questo esame? Voi lo provereste anche sapendo che non è completamente attendibile? Lo avete provato?
Fonti: Hngn.com/ Nbcnews.com
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