In tutte le città e molto spesso nei pressi delle chiese campeggiano i cassonetti per la raccolta di abiti usati, tanti i cittadini che si prodigano a fare una cernita tra i loro abiti per aiutare i meno fortunati ma, poi, gli stessi donatori si chiedono “ma che fine faranno questi abiti?”. Purtroppo, ahinoi, molto spesso finiscono sulle bancarelle dei mercati o ad alimentare il mercato nero.
Il business milionario degli abiti usati
L’intento con cui noi tutti ci apprestiamo a cercare degli abiti che siano in buone condizioni è quello di aiutare i più bisognosi, sapere che un capo di cui ci priviamo sarà indossato da chi è stato meno fortunato di noi ci fa sentire utili e altruisti ma, purtroppo, molto spesso la realtà è diversa da quella che ci auspichiamo. Solo una piccola parte degli abiti raccolti, infatti, viene distribuita ai più poveri e mentre la gran parte degli stessi abiti intraprende una via diversa, ossia viene venduta!
A dare conferma di ciò vi è l’inchiesta su Mafia Capitale che ha portato allo scoperto tanto sommerso da far rabbrividire tutti. Tante le persone arrestate nonché gli scandali venuti a galla.
Scopriamo più nel dettaglio come vengono ridistribuiti e utilizzati gli abiti che i cittadini di buon cuore versano nei cassonetti preposti con la speranza di dare un po’ di conforto ai più bisognosi. A darci una mano è la dichiarazione di Karina Bolin, la presidente di Humana People to People Italia, una delle tante associazioni umanitarie che svolgono la raccolta di abiti usati, che dice “Occorrerebbero normative per obbligare gli operatori del mercato a una maggiore trasparenza informativa nei confronti della comunità”. Elenca poi le destinazioni degli abiti usati raccolti da loro e gli usi che ne fanno vendendoli:
- gli abiti estivi in buono stato vengono inviati in Africa dove sono regalati solo in casi di emergenza. Negli altri casi sono venduti a prezzi accessibili per ottenere fondi da impiegare per i progetti sociali attivi localmente.
- Gli abiti non adeguati all’invio in Africa, vengono venduti in Italia e in altri paesi europei, sia al dettaglio sia all’ingrosso. Con i fondi ricavati, oltre ad autofinanziare la loro attività, impiegano gli utili per i progetti di sviluppo nei Paesi emergenti (pozzi, scuole e interventi sanitari) e per azioni sociali e di tutela ambientale in Italia.
Aggiunge inoltre: “Andrebbe inoltre imposto l’obbligo di trasparenza dell’intera filiera, dalla raccolta degli abiti usati fino alla loro destinazione finale, e una rendicontazione adeguata anche perché non è giusto trarre in inganno i cittadini, inducendoli a pensare che i vestiti siano destinati a un’attività sociale: al contrario in questo settore si muovono molti operatori non in regola, spesso non controllati dalle istituzioni per la mancanza di adeguati strumenti di verifica”.
Intanto da un’indagine svolta da Ispra e Altroconsumo questi i numeri che hanno a che fare con la raccolta di indumenti usati:
- 80.000 le tonnellate di abiti usati gettati ogni anno nei cassonetti
- 12 i chili di abiti gettati annualmente pro capite
- 12% la quota di abiti usati raccolti in maniera differenziata
- 20/30 centesimi il prezzo di ogni singolo capo venduto all’ingrosso
- 10% la quantità di abiti usati gettati nei cassonetti che finisce in discarica
- 20-30% la quantità di abiti usati gettati nei cassonetti che viene riciclata (come materia prima)
- 50-70% la quantità di abiti usati gettati nei cassonetti che arriva ai bisognosi o viene inviata all’estero
Ecco spiegato, quindi, da dove arrivano tutti quegli indumenti venduti a “tutto 1 euro” sulle bancarelle dei mercati. È quasi sempre roba dismessa e donata per aiutare i più poveri ma che, nostro malgrado, invece, viene utilizzata per altri scopi.
Dietro questo mercato parallelo di abiti dismessi e poi rimessi in vendita attraverso i mercati di quartiere si nasconde, ahinoi, un affare milionario gestito dal malaffare. Nella sola città di Roma la Procura ha aperto un’indagine scoprendo che l’incasso annuo che finisce nelle mani della camorra è all’incirca di 2 milioni di euro. E pensare che ci si priva degli abiti usati per aiutare i meno fortunati!
Per evitare di rimpinguare le casse della malavita, allora, prestiamo attenzione ai cassonetti nei quali inseriamo i nostri abiti. Infatti spesso, sparsi per il territorio cittadino, oltre ai cassonetti gialli destinati alla beneficenza sui quali, per legge, devono essere indicati gli estremi della società o dell’associazione che si occupa della raccolta, ne esistono degli altri che hanno uno scopo illecito e per niente altruistico sui quali non risulta scritto niente.
E voi unimamme cosa ne pensate di questo modo di fare? Vi sembra corretto che gli abiti di cui voi vi private spinte da animo altruista vengano utilizzati per rimpinguare le casse di molte associazioni umanitarie poco trasparenti? O peggio diventino affare mafioso?
Voi vi siete mai servite dei famosi “cassonetti gialli”?
(Fonte: inchieste.repubblica.it)