Unimamme, le cronache hanno dipinto l’ebola come la più devastante epidemia di questi ultimi tempi e tale infatti è la sua portata in termini di vite umane e di espansione.
Alcune coraggiose persone che hanno messo a rischio la propria incolumità per aiutare i malati sono giustamente finite sulla copertina del Time come simbolo di indomito coraggio in una situazione disperata.
Tra questi esempi di altissimo altruismo val la pena ricordare anche la storia di Edwin Koryan, nonno colpito dall’ebola che, guarito, si è dedicato alla nipotina sofferente per la stessa malattia.
L’uomo, un farmacista di origine liberiana, si stava occupando della nipote di 5 anni: Komasa, quando ha avvertito i primi sintomi del male che ha fatto stragi in Africa. A quel punto Edwin, consapevole dei rischi, è corso verso il centro più vicino, ma il virus si era già diffuso nel suo sangue.
Cedric Yoshimoto, il medico che ha curato Edwin ha raccontato: “vomitava sangue, non riusciva a mangiare, credevamo di perderlo”.
Edwin però è riuscito a farcela e si accingeva a lasciare il centro di terapie quando è arrivata la sua nipotina, contagiata anch’ella dall’ebola.
“Non ho avuto il minimo dubbio, sono tornato subito da lei” ha dichiarato Edwin. Il nonno di Komasa infatti sapeva quanto fosse dura la cura e quanto fosse esiguo il personale addetto ai pazienti.
Così il coraggioso nonno è tornato nella struttura insieme alla nipotina, si è occupato di lei, le ha pulito il vomito dal volto, le ha fatto il bagno, l’ha incoraggiata a mangiare.
A poco a poco Komasa è migliorata. “Sono scoppiato a piangere, ero così felice che non ho potuto farne a meno” ha rivelato il nonno dopo aver saputo che Komasa si sarebbe salvata.
Questa vicenda metta in luce il fatto che molti bambini siano stati contagiati e come, spesso, questi abbiano dovuto combattere l’ebola da soli. A sottolinearlo è anche la dottoressa Margaret Harris del World Health Organization: “questi bambini, molto spesso, sono soli, spaventati, terrorizzati per quel che sta accadendo”.
I piccoli infatti vengono posti in tende completamente chiuse, senza finestre, senza giochi per confortarli. Nessuno a spiegare perché siano finiti lì, cosa stia accadendo mentre gli operatori li curano vestendo strane “tute spaziali”.
In alcune cliniche vigeva anche la politica di non toccare i pazienti per proteggere gli operatori dalle infezioni e così i piccoli soffrivano ancora di più la solitudine.
“Molte cose che si fanno normalmente per i bambini non sono state fatte” ha aggiunto la Harris.
L’isolamento ha degli effetti devastanti sia in termini psicologici che fisici sui bambini, questo aspetto ha contribuito all’elevato tasso di mortalità tra i bambini sotto i 5 anni. Un numero significativamente superiore di quello visto negli adulti, ciò significa che migliaia di piccoli sono morti.
“I bambini hanno bisogno di essere puliti regolarmente, di essere incoraggiati a mangiare e bere, altrimenti muoiono in fretta” aggiunge la Harris.
Anche per questo motivo la World Health Organization sta riscrivendo le linee guida per trattare i bambini affetti da ebola.
Un medico della clinica gestita da Medici Senza Frontiere, Adamson, ricorda le centinaia di persone che si sono riversate nel loro centro e che lui avrebbe voluto curare meglio, molti di loro erano bambini.
Ora però che l’emergenza più acuta è passata, i bambini ottengono maggior attenzione che in passato. “Organizziamo dei giochi, mettiamo delle immagini sul muro, cerchiamo di fare quel che possiamo per minimizzare l’orrore che questi poveri bambini hanno attraversato” spiega il medico. A volte, i genitori, con gli appositi vestiti anti contaminazione si recano nei centri per far visita ai bimbi. “Questo livello di supporto può fare la differenza nel successo delle cura“ rammenta Adamson.
Dunque, anche nel caso dell’ebola, come per altre malattie, più delle medicine e dei trattamenti, fanno molto le cure, le attenzioni e l‘amore di una persona cara.
Unimamme e voi cosa ne pensate di queste considerazioni sul modo in cui i medici hanno cercato di fronteggiare l’epidemia nel caso specifico dei bambini?
Dite la vostra se vi va.
(Fonte: Npr.org)
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