“Gli effetti negativi di compiti a casa sono stati ben consolidati da studi, causano frustrazione, stanchezza, mancanza di tempo per altre attività, tempo per la famiglia e, purtroppo per molti, la perdita di interesse per l’apprendimento“. Sono le parole di Jane Hus, la preside della scuola elementare pubblica PS 116 di East 33rd Street di Manhattan a New York.
Tali parole sono contenute nella missiva inviata a tutte le famiglie della scuola, nella quale si raccomandava di limitare al minimo il tempo che i bambini devono trascorrere davanti la TV , computer, e videogiochi. Il tempo deve essere infatti investito nella la lettura di libri e in attività anche ludiche svolte insieme alla propria famiglia. Inoltre si chiedeva l’apertura di un canale continuo nel confronto con gli insegnanti, non solo negli sporadici incontri istituzionali.
Il cambiamento repentino nella politica didattica dei compiti a casa ha, però, suscitato un vespaio. La maggior parte dei genitori non ha trovato convincente la proposta, impauriti e convinti che con questa nuova concezione i bambini non impareranno abbastanza, e in molti hanno minacciato di ritirare i propri figli dalla scuola elementare.
L’intenzione della scuola in questione non è però lasciare che i ragazzi “perdano tempo”, tutt’altro: leggere e giocare infatti possono essere considerati “compiti a casa”, in un senso meno tradizionale, ma non meno efficace. Secondo gli esperti, attività all’aperto permettono non solo al bambino di svilupparsi dal punto di vista fisico, ma anche di apprendere come agire in un contesto socio-emozionale, risolvere problemi e prendere decisioni. Per non parlare del tempo prezioso da passare con i genitori.
Il problema dei compiti a casa tocca da vicino anche noi genitori del belpaese. Credo che una giornata passata tra i banchi dovrebbe bastare a riempire di cognizioni i nostri figli, in special modo nelle scuole primarie, dove il senso di responsabilità è ancora in via di sviluppo nei bambini.
Un’iniziativa del genere andrebbe supportata da uno Stato che si fonda sul lavoro e sulla famiglia. Dico questo perché i bambini nel pomeriggio, spesso, si trovano senza i genitori; impegnati in attività lavorative sempre più pressanti, con il tempo scandito da altri impegni improrogabili. Una società di corsa e in affanno che dimentica l’esigenza primaria dei propri figli, stare con mamma e papà, magari giocando, dopo la scuola. Non bastano infatti i fine settimana a riempire le assenze.
Ecco perché i compiti a casa, come tradizionalmente si intendono, possono diventare un ostacolo all’interno di un nucleo familiare che si deve raccogliere per stare insieme e fare qualcosa che renda di nuovo importante il senso di appartenenza che poi aiuterà i nostri figli a cercarlo, in senso più ampio, all’interno della comunità.
E voi Unigenitori, cosa ne pensate dei compiti a casa? Come reagireste se una proposta del genere venisse fatta nella scuola dei vostri figli?
(Fonte: DNAinfo/Yahoo)
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