“I nostri nipoti lavoreranno tre ore al giorno, e probabilmente solo se ne avranno voglia“. Così ipotizzava il futuro nel 1930, uno dei più grandi economisti del ventesimo secolo, John Maynard Keynes, padre della macroeconomia e dell’intervento dello Stato nell’economia , nei momenti di stallo dove non si riesce a garantire la piena occupazione con la sola domanda di lavoro nel sistema capitalistico. Già a quei tempi i progressi economici e tecnologici avevano ridotto notevolmente gli orari di lavoro, e non c’era motivo di dubitare che, nei decenni a seguire, la tendenza sarebbe continuata. Tanto che gli psicologi cominciarono a preoccuparsi, su come la gente avrebbe investito tanto tempo libero a disposizione.
Guardando la società di oggi, la percezione è un’altra. Tutti sono indaffarati, sempre di corsa. Nel mondo del lavoro il problema costante della mancanza di tempo è ciò che tormenta i manager di ogni Paese e , secondo gli analisti della società di consulenza McKinsey, la situazione è peggiorata negli ultimi anni, in special modo per i lavoratori che hanno figli. E tutta la tecnologia che ci dovrebbe coadiuvare nel farci risparmiare tempo in realtà si porta via gran parte della giornata, a partire dalle attese nel traffico, bancomat, computer, uffici postali, banca, file al supermercato.
Questo continuo andamento ad alta andatura, questo affanno in parte è legato ad un problema di percezione del tempo. Nei paesi ricchi le persone hanno più tempo libero di prima, specialmente nel nostro caro, vecchio continente rispetto ai sempre frenetici americani, anche se pure loro lavorano una media di dodici ore in meno rispetto a quarant’anni fa. In questo periodo è cresciuto in modo esponenziale il lavoro retribuito femminile, e si ridotto il tempo delle attività non pagate connesse alla manutenzione della casa, non solo grazie all’apporto di lavastoviglie, lavatrici, forni a microonde, e via dicendo, ma anche perché gli uomini passano più tempo in casa.
Il problema si riduce non a quanto tempo abbiamo a disposizione, ma a quanto pensiamo di averne. Da quando, nel settecento, gli orologi sono stati usati la prima volta per sincronizzare il lavoro, il tempo è valutato in rapporto al denaro. Quantifichiamo i secondi, i minuti, le ore in termini economici, per questo sprecare tempo ci sembra come buttare soldi dal finestrino e vorremmo impiegarlo in qualcosa di più redditizio. Quando l’economia cresce e il reddito sale, il tempo di ognuno di noi diventa più prezioso. E più una cosa diventa preziosa più ci sembra scarsa.
La cultura moderna, permeata fin nel midollo dall’individualismo, premia questo “dogma” del tempo come denaro. “La necessità di valorizzare ogni minuto diventa vitale”, dice Harry Triandis, psicologo sociale, operante nell’università dell’Illonois. Il valore del tempo è maggiore nelle città più grandi e ricche, salari elevati e conseguente aumento del costo della vita. A new York si sta più attenti ai minuti, con relativo carico di stress, che a Nairobi.
Un’edificazione della vita basata sul tempo visto come denaro è purtroppo la realtà! E voi cari Unigenitori cosa ne pensate di questo mondo sempre di corsa? Ne siete parte? Quante ore lavorate al giorno?
(Fonte: Internazionale)
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