Già qualche mese fa abbiamo parlato di una sentenza storica del Tribunale dei Minori di Bologna che aveva riconosciuto ad una mamma single di essere considerata la mamma legittima del figlio adottato. Quella di oggi è una storia senz’altro diversa ma altrettanto importante. Un Tribunale italiano accoglie infatti la richiesta di una donna single che aveva in affido una bimba da 8 anni.
Doveva essere un’esperienza di affido a termine, invece quel gesto a scadenza si è trasformato per una quarantenne di Cagliari in una gioia meravigliosa che le ha permesso di diventare madre.
Il racconto di quanto avvenuto in Sardegna, riportato anche dalle parole della stessa donna protagonista della vicenda, è stato raccontato in un articolo apparso sul Corriere. A dicembre, il Tribunale per i minorenni di Cagliari ha pronunciato la sentenza di adozione per una quarantenne e la piccola. Quando la donna aveva fatto la domanda di adozione era ancora nubile. La bambina ha adesso due cognomi: il cognome della mamma adottiva e a seguire quello della madre biologica.
La “neomamma” (almeno sulla carta) racconta di come la sua esperienza, inizialmente a termine, otto anni dopo si è trasformata perchè è stata “incastrata dall’amore“.
Quella settimana di affido è infatti diventata prima un mese, poi un anno, poi altri due anni e poi ancora due fino a quando quella bambina è stata riconosciuta come sua figlia.
“Avevo 32 anni quando ho incontrato per la prima volta mia figlia. Ero una giovane professionista un po’ annoiata, ma soprattutto molto sola. Ero stata molto fortunata fino a quel momento e avevo voglia di restituire un po’ delle opportunità che avevo avuto dalla vita e dalla mia famiglia, senza averne mai avuto merito. Andai nel centro affidi della mia città: è un ente che si occupa di formare le famiglie che intendono accogliere un bambino in casa. Mentii: dissi che avevo tanto tempo a disposizione. In realtà non era così, ma sapevo che me la sarei cavata”.
Dopo pochi mesi arriva una chiamata, una bambina di quasi tre anni era appena stata accompagnata ai servizi sociali, la madre non era più in grado di occuparsene. Non parlava, non camminava, e dimostrava dei deficit. Una condizione di per sè non felice ed aggravata dalla situazione familiare; era impossibile infatti determinare se e quando la mamma naturale sarebbe ritornata a prenderla.
Altre famiglie tradizionali non se la sentirono di accogliere la piccola ma la donna lo fece e racconta così quell’importante inizio:
“la piccola strillava come un ossesso. Ma appena mi ha vista, mi è venuta incontro gattonando è mi ha artigliata in un abbraccio che mi ha lasciata senza fiato. Non credevo che un essere così piccolo potesse avere tanta forza. Me la portai a casa con il terrore di fare tutto male, dal biberon al cambio del pannolino. E invece è stato proprio lì che abbiamo cominciato a camminare insieme. Quando l’assistente sociale mi ha chiamato alla fine della settimana per avvisarmi che l’affido, se ero d’accordo, si sarebbe prolungato per un altro mese, sentii la mia voce dire “non c’è problema” mentre “lei” faceva precipitare una tenda con il bastone, per fortuna non sulla sua testa. Un disastro. Ma siamo sopravvissute!”.
In questi anni la madre biologica è sempre stata presente. Oggi può vedere la figlia una volta al mese, lei le vuole bene e tutti si è lavorato per costruire un buon rapporto tra loro.
A seguire questo caso sin dall’inizio è stata la psicoterapeuta infantile Luisa Sanna la quale definisce questa bella storia un caso di “adozione mite“.
“In questa storia sono tutti vincenti: abbiamo costruito rapporti nuovi senza recidere quelli con la madre biologica. Il nostro focus è sempre stato la piccola”
Una valutazione questa fatta anche dallo stesso giudice, che ha preservato il rapporto costruito in otto anni.
Care Unimamme, una storia bellissima, italiana, di amore vero. Cosa ne pensate? Credete che “l’adozione mite” sia un approccio che potrebbe essere vincente in molti altri casi?
(Fonte: Corriere)
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