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Attualità

“Sono una mamma, ma mio figlio è nato morto”, parola di mamma (VIDEO)

Published by
Maria Sole Bosaia

 

In America in un caso su 160 un figlio nasce morto e purtroppo questa drammatica esperienza è toccata anche alla dottoressa Eleni Michailidis che ha deciso di parlarne apertamente sul New York Times.

Io e mio marito Abraham abbiamo programmato una vita con o senza bambini, qualunque cosa fosse arrivata l’avremmo accettata.

Siamo rimasti sorpresi quando sono rimasta subito incinta. Ero contemporaneamente sconvolta ed eccitata. Amavo essere incinta. Era incredibile cosa potesse fare il mio stomaco.

Il bambino aveva un suo schema. Era attivo, specialmente alle 10 di sera. Mi sedevo per rilassarmi alle 10 di sera e lui continuava a muoversi e divincolarsi.

Quando sono arrivata a 38 settimane mi sono accorta che il bambino non si muoveva più nello stesso modo, ma ho pensato che semplicemente non avesse più spazio. Anche voi lo penserete.

Ma lunedì sera ero preoccupata. Martedì mattina siamo andati dal medico. Mia mamma è venuta con me perché mio marito doveva occuparsi dei miei pazienti, nel nostro ambulatorio. Siamo ortodontisti e abbiamo aperto uno studio insieme.

Siamo andati nella stanza degli esami e un’infermiera ha preso il doppler per misurare il battito cardiaco del bimbo.

Ho esclamato “mamma non sento il battito”.

Lei ha risposto: “non preoccuparti”.

Mentre l’infermiera sostituiva il Doppler è sopraggiunta la mia dottoressa. La dottoressa Wendy ha cercato di sentire il battito. Niente. “Dovremo controllare con gli ultrasuoni” ha detto.

La stanza era avvolta nell’oscurità, la luce si rifletteva sul suo volto. Ho visto i suoi occhi muoversi, come se stesse andando nel panico.

Ho sentito il sangue prosciugarsi dal mio volto. Le mie labbra sono diventate fredde.

“Mi dispiace Eleni non c’è battito” ha detto la dottoressa.

Sono riuscita a sussurrare “che cosa intendi?”.

Lei mi si è avvicinata e mi ha preso la mano.

Ti aspetti di percorrere un sentiero, è l’opposto di quello che ti aspettavi di prendere.

Mi ricordo di aver pensato “devo dare alla luce il bambino”.

Ho chiamato Abraham. Ha risposto con entusiasmo “quindi avremo il bambino oggi?”.

Ho detto solo: “no, il nostro bambino non c’è più. Non c’è battito”.

Ha detto che ci saremmo visti in ospedale.

Mentre ci stavamo ritirando l’ho visto camminare. Era la prima volta che vedevo mio marito piangere.

Avevamo la nostra stanza ma eravamo nel piano del travaglio e delle nascite.

La mia stanza era così tranquilla che ingrandiva tutto quello che accadeva all’esterno: i bambini che strillavano, le persone che festeggiavano, i parenti che andavano avanti e indietro.

Quando il travaglio andava avanti sentivo formicolii ovunque, più le contrazioni. Mi ricordo di aver spinto, ma non a lungo. Parte di me stava pensando: voglio che questo finisca il prima possibile, ma un’altra parte pensava :”vorrei onorarlo”.

Lo stavo comunque portando in questo mondo. C’era un accenno di bellezza nell’intera cosa, c’era davvero.

Speravo che avessero fatto un errore e di sentirlo piangere. C’era silenzio. Poi la dottoressa ha detto: “Oh Eleni è magnifico!”.

Quella è stata la prima volta che ho saputo che stavo avendo un maschietto. Una parte di me era spaventata. Come sarebbe sembrato il mio bambino?

Me lo hanno portato avvolto.

Passi da “non so se voglio vederlo” a “non so se riesco a lasciarlo andare”.  Era bellissimo e l’abbiamo tenuto in braccio. L’abbiamo fatto passare dai miei genitori ai miei cognati.

Il nostro primogenito avrebbe trasformato mio padre e mia madre in nonni, mio fratello in uno zio. Avevo fallito. Ti senti davvero colpevole. Come se fosse stato qualcosa che hai fatto a causare tutto ciò.

Hai influenzato così tante vite.

Quando ho visto Abraham tenere in braccio il bambino  è stato orribile perché era addolorato, ma anche orgoglioso.

Abbiamo trascorso 4 ore con Alexander. Ho pianto molto pensavo che stesse assorbendo una parte di me.

Si tratta di una perdita davvero unica. Non ho mai avuto occasione di vedere il mio bambino piangere, ridere o simili. Tutti quei “e se” non avranno mai risposta. La sua vita era definita da quello che aveva sperimentato attraverso di me.

Dicono che per il 50% dei bimbi nati morti non c’è alcuna spiegazione. Non sappiamo cosa sia successo.

Vorrei dire a un’altra famiglia che stesse attraversando la nostra stessa situazione: fate il bagno al bimbo, cambiategli il pannolino, trascorrete del tempo con lui. Scattate delle foto, anche se sembra stano, questo è tutto quello che avrete.

Mio fratello ha scattato 5 o 6 foto di noi che tenevamo il bimbo. Avrei voluto averne di più, ma non pensi razionalmente.

Eravamo la nuvola nera in questo piano felice con i parenti che festeggiavano e portavano regali mentre i bambini piangevano.

Si tratta di quell’ultima pugnalata di cui non hai bisogno perché ti senti già nel punto più basso in cui potrai mai essere. Speravo che ci fosse una sezione dove stare per conto nostro.

Non volevamo stare lì, ma lasciare il piano voleva dire lasciare Alexander. Perché gli ospedali non sono meglio equipaggiati per questo genere di dure esperienze?

Il personale ha messo una rosa rosa fuori dalla nostra porta così le persone hanno saputo che non si trattava di una stanza felice, ma ci sono tantissime cose che potrebbero aiutare e di cui l’ospedale non informa le famiglie.

Ci sono le culle che sono tenute alla temperatura giusta così si può stare col bimbo quanto si vuole e non dover affrontare lo stato di post mortem.

Quando è tornata l’infermiera credo abbia tentato di accelerare un po’ “sei pronta a darmi il bambino” ha chiesto.

Ha preso il bambino e l’ha messo nel suo freddo carrello di metallo. Poi gli ha messo sopra un lenzuolo. Sembrava così sbagliato.

Potevano portare fuori il bimbo tra le loro braccia.

Mi ricordo che vibrava sul carrello andando su e giù mentre lo spingevano. Non un bel momento.

Siccome i bambini nati morti non esalano un respiro è triste che, qualche volta, non ti diano il certificato di morte. Porti un bambino per 20 o 40 settimane, non è giusto non riconoscerlo.

Mi considero una mamma.

Ho avuto un figlio. Lui è nato morto. Le persone non ne parlano perché è qualcosa che li disturba, c’è silenzio perché le persone non vogliono sentire quelle cose.

Ma succede, succede abbastanza spesso.

Segue il video in cui questa mamma racconta la sua storia.

 

 

Unimamme e voi cosa ne pensate di questa commovente lettera dedicata alla morte perinatale?

Purtroppo, come sostiene questa mamma il tema a volte è un tabù, ma non dovrebbe esserlo.

 

Maria Sole Bosaia

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