“Ti ho assunto sperando fossi sterile ed è solo grazie alle terapie che me lo hai tirato in c…”. Parole di grande disprezzo quelle usate da una direttrice di un centro commerciale di Firenze nei riguardi di una dipendente, madre a 40 anni di due gemelline avute grazie alla fecondazione in vitro.
I fatti risalgono al 2010 quando la donna, una commessa in un negozio di telefonia di un centro commerciale, ritorna al lavoro dopo la maternità. L’orario è a tempo pieno – 15.30/22.10 – visto che dalla titolare le viene negata la possibilità di avere il part time. Sono passati appunto tre giorni dopo il rientro quando la mamma avvisa la datrice di lavoro che non sa se riuscirà ad arrivare in tempo per colpa di un imprevisto di salute di una delle due figlie. Per questo dovrà andare in ospedale. La capa della mamma incomincia allora ad insultarla con parole molto pesanti: “Per colpa tua e dei tuoi figli ho dovuto assumere un’altra persona, se non vieni al lavoro alle 15.30 in punto ti faccio il culo, mi sono rotta i c… di te e dei tuoi figli e non me ne frega un c… se tua figlia sta male, procurati una fottuta baby sitter, vendi l’auto se non puoi pagartela, devi rientrare al lavoro di corsa e stai attenta perché questo è l’ultimo avvertimento che ti do”. La telefonata è in viva voce e anche la sorella ascolta tutto.
La donna per fortuna riesce ad arrivare in orario e si scusa, chiedendo però spiegazioni sulla telefonata. Per tutta risposta, invece di scusarsi, la superiore rincara la dose dicendo appunto che sperava che non potesse avere figli in modo da non avere problemi sul lavoro. La donna ha quindi deciso di andare in causa: in primo grado ha perso ed è stata condannata a pagare le spese processuali alla direttrice del negozio e a suo marito, il titolare. In appello la sentenza è stata completamente ribaltata e la donna avrà un risarcimento di 10mila euro perché le accuse della sua datrice di lavoro – banali diverbi per il giudice di primo grado – sono stati giudicati mobbing vero e proprio.
E voi unimamme cosa ne pensate?
(Fonte: la Repubblica.it)
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