Da un’indagine dell’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza, e secondo delle stime Unicef, emerge che sono circa 260mila i minori che lavorano in Italia.
Un genitore su due non si opporrebbe se il proprio figlio under 16 volesse abbandonare gli studi per andare a lavorare. La crisi di questi ultimi anni, il degrado culturale che ci ha colpito sistematicamente, una graduale estinzione degli ideali e delle proprie aspirazioni, sostituite dal valore monetario delle cose importanti da perseguire nell’esistenza di un essere umano. Queste sono alcune delle cause che portano i nostri giovani a ritenere la scuola un ostacolo alle proprie “reali” esigenze.
Anche ragazzi portati per lo studio, percepiscono una realtà diversa, quella che li circonda e quella che respirano sul web, in tivù, andando a fare sport, in giro con i coetanei, rifugiati dentro i centri commerciali, è la realtà mercificata.
Il fattore nuovo è rappresentato dai genitori, stremati da anni di difficoltà economiche che sembrano minimizzare la gravità dell’abbandono scolastico per dedicarsi alla ricerca di un impiego: il 54% pensa che la crisi lo giustifichi almeno in parte.
Il 17% conosce storie di under 16 che lavorano, perché sono figli di amici o parenti o perché sono amici dei propri figli, nel Nord Italia la percentuale sale al 22-24%, evidenziando come il lavoro minorile non sia diffuso solo al Sud come molti credono.
Nello studio si evidenzia come:
I dati raccolti indicano un’inquietante indulgenza dei genitori italiani nei confronti del lavoro minorile:
Nonostante l’80% ritiene che il lavoro minorile rubi a i bambini la formazione scolastica, l’infanzia e una normale crescita psicofisica, si scopre che a tutto questo si può rinunciare di fronte alle nuove necessità dettate da una crisi economica dura a finire. Le difficoltà finanziarie giustificano il ricorso il lavoro di un bambino per il 54% dei genitori, che ritengono proprio la crisi come causa principale degli abbandoni scolastici nel 35% dei casi.
Il 30% dei genitori, inoltre, pensa che il lavoro minorile in Italia riguardi solo gli stranieri, il 55% lo considera un dramma dei paesi sottosviluppati, il 40% ignora che esistano piccoli sfruttati anche nel nostro territorio. Questa mancanza di consapevolezza è dovuta anche perché non si è a conoscenza dei mille rivoli in cui straripa il grande fiume del lavoro infantile: lo si ritiene tale solo quando assume le forme dello sfruttamento in fabbrica o dell’accattonaggio sulle strade, in realtà sfocia in altri settori.
Aiutare i genitori nella loro attività, in un negozio o in un’impresa, costretti a cooperare nelle faccende domestiche o nella cura di familiari bisognosi, è lavoro minorile domestico che può assumere i contorni dello sfruttamento.
Gli impieghi dei minori non hanno mai valore, servono solo per risolvere dissesti finanziari in modo temporaneo, non creano prospettive. Togliere la possibilità dello studio preclude di fatto alla crescita di adulti consapevoli, rassegnati già in partenza a non scrutare oltre i confini delle esigenze primarie. Si responsabilizzano troppo in fretta creando in loro sensi di colpa ingiusti.
Far lavorare i minori significa negare loro il diritto a costruirsi un futuro congeniale alle proprie possibilità, legittime aspirazioni, sogni, riconoscere le emozioni, esperienze di crescita sana, tutto viene precluso. Il temporaneo tamponamento di un disagio economico non vale questo prezzo.
L’indagine è stata condotta da Datanalysis intervistando 1000 mamme e papà rappresentativi della popolazione generale italiana.
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