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Categoria News

Neomamme sempre più disoccupate: dove sono i nostri diritti?

Published by
Michele
Fonte foto: 50sfumaturedimamma.com

La discriminazione nel mondo del lavoro in Italia colpisce sempre le donne. Lo conferma l’Istat, che siano lavoratrici, mamme o pensionate, il gentil sesso percepisce stipendi più bassi rispetto agli uomini.

I problemi per le donne si quintuplicano, una volta che diventano neomamme. Oltre la metà delle lavoratrici perde il lavoro, o lo lascia per oggettive difficoltà nella gestione del nuovo status familiare con l’arrivo di un figlio.

Con i dati Istat in mano, dal 2008 al 2013 è aumentata la percentuale di donne che hanno lasciato o perso il lavoro perchè neomamme: dal 18,4% si è passati al 22,3%. E si parla anche di uscite prolungate di almeno 5 anni nel 60% dei casi.

A questa disparità sul posto di lavoro si associa un’elevata asimmetria dei ruoli della coppia, perché anche qui è la donna-madre la figura che rimane più presente all’interno delle mura domestiche.

Il dato che evidenzia questo stato di cose nelle coppie con figli è che il 72% delle ore dedicate alla cura del trend familiare è svolto dalla donna.

Seguendo ancora l’indagine Istat, i percorsi lavorativi delle donne, oltre alle interruzioni per motivi familiari, sono caratterizzati da lavori atipici:

  • solo il 61.5% delle lavoratrici ha avuto un percorso standard,
  • contro il 69%  dei colleghi uomini.

A questo si aggiunge un sensibile aumento del part-time in rosa e delle occupazioni irregolari, il famigerato lavoro in nero.

Tutto ciò naturalmente si traduce in minori introiti e minori contributi versati.

Anche la parità del titolo di studio non aiuta a colmare la differenza di stipendio, l’uomo prende sempre di più.

Le pensioni fanno da chiosa a questo corollario di numeri:

  • poco più di una donna su dieci ha un assegno pensionistico che oscilla tra i 1500 e i 2000 euro,
  • rispetto al 21% degli uomini.

Gli assegni da 3000 euro e oltre vengono percepiti dal triplo degli uomini.

Ma è la logica conseguenza nella discriminazione subita dalle donne nel loro ciclo lavorativo, meno contributi maturati producono pensioni più povere.

In un’epoca dove si parla di uguaglianza, di diritti per i gay, di diritti per i preti a farsi una famiglia, diritti civili per le coppie di fatto, nel nostro Paese le donne continuano ad essere trattate come una categoria di serie B per quanto riguarda il lavoro.

Dove sono i servizi per l’infanzia? Come fare a conciliare lavoro e famiglia?

Cosa ne pensate unimamme e unigenitori, non è forse l’ora di fare qualcosa? E’ giusto che sia sempre la donna, spesso mamma, a sacrificarsi? Parliamone!

Michele

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