Un gruppo di ricercatori della Washington University di Saint Louis, negli Stati Uniti, ha pubblicato i risultati di uno studio dove si afferma che la povertà è associata a dimensioni inferiori di materia grigia e di materia bianca in due regioni del cervello, e nei volumi di amigdala e ippocampo in età scolare.
Non essere figli di papà sembra che comporti gap anche da un punto di vista neurobiologico. Non bastava partire svantaggiati nel mondo del lavoro e in tutti i contesti sociali, dove essere figli di benestanti porta innumerevoli vantaggi, ora ci si mette anche il neurone a fare il risentito.
Lo dicono i ricercatori dell’università di Washington che hanno preso in esame tutta una serie di risonanze magnetiche nucleari, condotte in un lasso di tempo compreso tra i 5 e i 10 anni su di un gruppo di 145 bambini di età compresa tra i 3 e i 12 anni.
I dati raccolti tendono a confermare tutta una serie di conclusioni già note, legate allo sviluppo dei bambini in condizioni di indigenza. Ma questa ricerca dimostra che gli effetti della povertà sul cervello in via di sviluppo si vedono nell’età della scuola, e sono fortemente influenzati dallo stress associato alla vita e da quello vissuto dal genitore nel suo ruolo.
La povertà va a “colpire”:
Le motivazioni sono legate ai genitori, che, vivendo in una situazione di stress, essendo poco presenti nel nucleo familiare, in costante preoccupazione per il bilancio della famiglia, influenzano il regolare sviluppo dei figli.
La raccomandazione è, quindi, far crescere i figli in condizioni meno stressanti e con una maggior presenza delle figure genitoriali. Ovviamente facile nella teoria e terribilmente complicato nella pratica. Sicuramente tali conclusioni dovrebbero essere tenute in conto dalle istituzioni e dalla pubblica sanità per indirizzare misure preventive e di intervento, soprattutto in un momento come quello in cui stiamo vivendo, dove il numero dei poveri è in drammatico aumento. Cosa ne sarà dei bambini di oggi?
“La povertà educa alla rassegnazione” diceva Albert Camus. Rassegnarsi significa gettare nel dimenticatoio i bei ricordi, non avere più paura, muoversi il meno possibile. Insomma alcune moderne certezze, supportate dalla scienza, ci dicono cose che i tanto bistrattati umanisti avevano intuito nel secolo scorso, con un pizzico di poesia in più.
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