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Categoria News

“Non si può uccidere in nome di Dio”: i musulmani d’Italia in piazza a Roma

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Michele

Sabato 21 novembre si è  tenuta a Roma una manifestazione delle comunità  islamiche italiane, per prendere le distanze dalla strage di Parigi. I musulmani d’Italia sono giunti da tutta la penisola, nonostante la pioggia persistente e il calo delle temperature, dopo un autunno caldo, purtroppo non solo dal punto di vista climatico, sono arrivati per gridare il loro dissenso.

Si è tenuta la manifestazione delle comunità islamiche a Roma, al grido dello slogan, virale in tutto il mondo, “Not in my name“: un corteo che ha preso forma in Piazza Santi Apostoli, vicino Piazza Venezia, ed è  iniziata con un minuto di silenzio dedicato alle  vittime degli attentati di Parigi. Mentre vi scriviamo ascoltiamo le allarmanti notizie che giungo dal Belgio. Una nazione sotto scacco, chiusa in tutte le sue realtà  per il timore molto fondato di possibili nuovi attacchi da parte dell’Isis.

Un islam usato come spada e propaganda per opporsi ad un occidente ritenuto responsabile di crimini efferati, e di una economia vorace che affonda i suoi interessi in Medio Oriente: petrolio, vendita di armi, collaborazioni economiche con Stati che sovvenzionano L’Isis, un circolo di interessi e ideologie che non si può riassumere in poche righe di un articolo, in un sito che si occupa di ben altro. Ma fa parte di quel mondo che noi stiamo lasciando ai nostri figli.

 

Piccoli che si sono ritrovati davanti la realtà  della morte, portata con la violenza delle armi nei luoghi dove si dovrebbe essere sicuri. E allora l’articolo prende senso all’interno di questo spazio. I nostri figli hanno cominciato a fare i conti con la realtà  di una religione diversa, presentata come portatrice di terrore, in molti casi. E  allora i musulmani che non si sentono parte della jihad, hanno ritenuto opportuno manifestare contro questa violenza in nome di Allah, perché la religione non debba diventare la discriminante per ghettizzare chi appartiene a quel credo.

“Non in mio nome” hanno gridato i manifestanti, sabato pomeriggio a Roma. Sul palco, allestito per il corteo, c’era uno striscione:”Musulmani d’Italia- Not in my name- No al terrorismo”. Ci sono stati giovani che urlavano: “Non abbiate paura di noi“, “No all’Isis, no al terrorismo, noi ci siamo“.

E ancora: “non si può uccidere in nome di Dio. Noi non abbiamo paura di nessuno. Musulmani, ebrei, cristiani, istituzioni: vogliamo dire a Daesh (Stato islamico) che noi non gli lasceremo distruggere la nostra convivenza. Saremo insieme contro i terroristi”, queste le parole di un deputato italo marocchino, Khalid Chaouki. 

La parola che è stata pronunciata da tutti quelli che sono saliti sul palco è stata Pace“, e ogni volta veniva accompagnata da applausi scroscianti. Ognuno voleva dire la sua, spiegare che si è contro la politica del terrore dell’Isis. Ci sono stati personaggi politici tra la folla, che volevano appoggiare l’appello dei musulmani italiani. E anche dal Vaticano è arrivato l’apprezzamento per questa manifestazione: “La condanna senza se e senza ma del terrorismo islamico deve venire principalmente dalla parte islamica“. Non sono però mancate le polemiche: c’è  chi ha lamentato una scarsa partecipazione all’evento, vista la portata del dramma.

E i bambini assistono a tutto questo, fanno domande a cui è difficile dare risposte oggettive. Solo la paura riesce a prendere una forma comprensibile, la diffidenza e l’insicurezza. E dire loro qualcosa di giusto diventa complicato. Cosa è giusto? Quali sono i nuovi parametri in un mondo globalizzato che sta cambiando così in fretta?

Possiamo dire che i motivi della manifestazione sono giusti, che la religione non può essere discriminata per i folli gesti di una minoranza che agisce in suo nome. Ma poi dovremmo anche spiegare che per i musulmani religione e politica viaggiano di pari passo, a differenza degli stati laici che si trovano in Europa, e questo complica ancor di più le cose.

Ma, forse, sarebbe giusto anche non spiegare molte cose, non avendo loro sviluppato le esperienze, che solo con l’età si possono fare, per capire questo nuovo mondo.

E voi, cari Unigenitori,cosa avete detto ai vostri figli?

Michele

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