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Scuola

Disciplinare i bambini: il modo migliore secondo gli studi sul cervello

Published by
Maria Sole Bosaia

Disciplina per bambini: è aperto il dibattito su quanto sculacciate, pause di riflessione e lasciar piangere i bambini per farli addormentare siano o meno sistemi corretti o sbagliati.

La psicoterapeta Tina Bryson si interessa allo sviluppo del cervello dei bambini poiché vuole ridefinire il concetto di disciplina e farci capire che le nostre decisioni nei confronti di bambini influenzano anche il loro cervello.

Cervello dei bambini e sistemi di disciplina

Nel 1980 un gruppo di scienziati guidati dal professor Giacomo Rizzolatti ha scoperto i neuroni specchio dopo aver osservato la reazione di alcune scimmie che vedevano i ricercatori cercare delle noccioline. Il loro cervello reagiva come se anche loro stessero compiendo la stessa azione.

Il termine ha dato origine a una serie di dibattiti e linee di pensiero tra cui si pone anche la neurobiologia interpersonale di cui Dan Siegel è il più noto esponente.

Secondo Dan Siegel il cervello è ripartito in 3 parti:

  • il tronco encefalico: il nostro “cervello lucertola“, quello che ci tiene in vita nei momenti di pericolo
  • il sistema limbico: funziona come connettore, ma rimane primitivo, incoraggia i comportamenti senza dare il tempo alla corteccia di processarli, incoraggia un comportamento migliore
  • la corteccia cerebrale: è la nostra razionalità.

Quando discipliniamo facciamo incontrare il sistema reattivo con quello limbico o peggio, il cervello lucertola dei nostri bambini prende il controllo, la stessa cosa avviene nel cervello degli adulti.

Quindi la “piccola lucertola” impara una cosa, che per vincere deve diventare più grande, più forte.

Tuttavia i genitori possono avvicinarsi al bambino lucertola con rispetto e insegnargli che non ha nulla da temere in modo che la “creatura” dentro di lui possa ritornare nella sua caverna e lasciare che il bambino, tornato più razionale, ricominci a giocare.

Il nostro cervello alimenta le interazioni con gli altri attraverso una serie di attività che possono essere documentate. I rapporti forgiano i neuroni e i rapporti neurali.

Oltretutto il cervello si espande oltre il nostro cranio, ci sono nervi sparsi in tutto il corpo che fanno parte di un ampio corpo – cervello, fili che collegano i nostri pensieri, sentimenti, ecc…. Si tratta del nostro sistema nervoso.

Quando una serie di neuroni vengono stimolati questi si collegano ad altri. Si possono verificare abbinamenti strani, strane giustapposizioni di sentimenti e sensazioni.

Noi possiamo creare associazioni positive per ottenere cambiamenti più significativi e incoraggianti quando discipliniamo i figli. Sappiamo che possiamo aiutare un bambino ad associare certi comportamenti e modi di essere a stimoli positivi, in modo che il piccolo sia incline a riprodurli.

Dobbiamo capire che spesso le azioni dei bambini hanno abbinamenti strani, il nostro ruolo è quello di aiutarli a trovarvi un senso.

Approfondiamo ora il discorso in merito a 3 ambiti di intervento:

  • sculacciare si o no
  • lasciare piangere i bambini al momento della ninna si o no
  • imporre pause di riflessioni si o no.

1. Sculacciate, attaccamento e cervello

Negli anni Cinquanta si è affermato un sistema di disciplina basato sul “principio piacere e dolore”. Sostanzialmente si incoraggiavano le punizioni corporali. Il dibattito sulla validità di questo sistema è ancora in corso e verte sullo “sculacciare o non sculacciare”.

Per alcuni le sculacciate equivalgono ad abusi, per altri sono una componente necessaria nell’educazione dei figli. Quelli a favore ritengono che l’amore per i figli può essere veicolato attraverso i colpi e che i loro cervelli lucertola risponderanno alla stimolazione fisica meglio di quella verbale.

In un certo senso hanno ragione perché il cervello dei piccoli reagisce al tatto di qualsiasi tipo. Solo che secondo Siegel e Bryson il cervello dei bambini entra in un caos emotivo perché le figure di attaccamento e da cui ricavare sicurezza sono anche quelle che gli lasciano danni fisici.

Il cervello animale che cerca la lotta o la fuga è confuso e arrabbiato. Il sistema limbico gli suggerisce che il pericolo è vicino e di cercare sicurezza nell’abbraccio delle figure di riferimento, ma queste sono anche la fonte del pericolo. Sicurezza e pericolo si fondono.

Questo conflitto interno porta a quello che i neuropsicologi chiamano “disregolazione“. I neuroni cercano relazioni plasmate che non hanno senso nella parte più avanzata del nostro cervello. Quando il significato è difficile da capire, come nel caso delle sculacciate o nella minaccia di queste, il cervello del bambino diventa sempre più frustrato, in pratica si disintegra.

Inoltre è difficile creare una lezione significativa e coerente per rendere il piccolo più adattabile la prossima volta. Non ha guadagnato nuovi modi di interpretare le informazioni o di dare un senso al mondo con la parte della corteccia cerebrale.

Il tronco cerebrale e l’area limbica rimangono al comando, imparano la lezione: se faccio X il papà/mamma frusterà la mia coda. Questa è la logica da lucertola.

Infine i bambini che vengono sculacciati:

  • hanno più probabilità di commettere crimini
  • di soffrire di depressione
  • finire in prigione
  • di essere coinvolti in risse
  • di commettere suicidio
  • di darsi all’alcol e alle droghe
  • hanno un quoziente intellettivo più basso
  • hanno risultati accademici più bassi

2. Guerra del sonno: è giusto lasciarli piangere?

Ultimamente si adotta il metodo per cui se entro una certa età il piccolo non ha imparato a dormire da solo, i genitori si tolgono di mezzo. Tre o quattro notti dopo il piccino capisce che piangere e chiamare a gran voce mamma e papà non si risolverà in nulla e impara ad addormentarsi da solo.

Ma cosa succede davvero ai bambini con questo tipo di disciplina? Si produce un flusso di cortisolo le cui conseguenze a lungo termine non sono certe. Il dottor Bill Sears sostiene che questo può condurre a problemi emotivi e biologici. Altri invece ritengono che le conseguenze sono minime rispetto a notti e notti trascorse senza dormire.

Lo stress di un bambino lasciato a piangere da solo nella sua stanza è significativo, il piccolo lo vive come un abbandono. Impara che non più associare la cura con nessun’altra cosa rispetto al genitore.

3. Pausa di riflessione o dialogo?

L’idea della pausa di riflessione è che i bambini si rendano conto della loro vita interiore. Siegel ha creato il termine “time in”  che è concepito per entrare in comunicazione con le emozioni e le relazioni. Mentre la pausa di riflessione, il time out ha natura punitiva, il time in ha l’obiettivo di far acquisire consapevolezza del funzionamento interno della mente.

Il bambino ha pietre di paragone a cui tornare per trovare un senso alle esperienze emotive più intense. Il time in impedisce l’escalation di un cattivo comportamento perché aiuta il bimbo a prestare attenzione alla gamma di esperienze maturate durante la giornata.

Siegel suggerisce che se durante la giornata accade qualcosa di bello o di brutto i bambini dovrebbero essere incoraggiati a parlarne. Dobbiamo aiutare i bambini a dare un nome alle loro emozioni.

Per i bambini le emozioni intense sono come una foresta scura di notte. Il cervello comincia a fare associazioni e il piccolo viene sopraffatto da fantasie oscure. Quando usiamo il metodo della pausa di riflessione o time out è come se spingessimo i nostri figli nella foresta lasciandoli lì al buio.

Il time in invece invita genitori e figli ad attraversare la foresta insieme. I genitori danno ai figli gli strumenti per l’esplorazione e li aiutano a identificare ciò che vedono.

Questo tipo di disciplina impone ai genitori di non partecipare solo alla realtà esterna degli eventi, ma anche alla realtà interna. Dobbiamo aiutare i piccoli ad ascoltare le loro esperienze interiori. Quando lo facciamo loro possono avere accesso ai propri sentimenti.

La disciplina quindi non è più qualcosa di punitivo, ma obbedienza all’insegnamento e autoregolazione. Quando volete disciplinare il vostro bambino dovete chiedervi prima: “cosa voglio che impari mio figlio in questo momento“? e “qual è il modo migliore in cui posso insegnarglielo?”

Questo approccio neuropsicologico mira a un riorientamento da dettami semplici (deve smetterla di fare questa cosa) a un insegnamento più sfumato (come posso insegnarglielo?) per creare un cambiamento di comportamento più duraturo.

Unimamme, voi cosa ne pensate di queste riflessioni? Voi come disciplinate i vostri bambini?

Maria Sole Bosaia

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