Il padre di Diana era un fotografo di paesaggi ed è stato lui a introdurla all’amore per la fotografia.
“Mi ricordo i primi anni della mia infanzia quando sedevo nel suo studio aprendo le camere disponibili e guardandolo stampare. Non ho molte foto della mia infanzia perché sono andate perdute ma posso guardare alle poche rimaste e sentire e annusare tutto di nuovo, ed è molto vivido. Si tratta di un’esperienza dolce amara quando guardo a quelle immagini di mio padre perché non sapevo cosa sarebbe successo.
Non ricordo i momenti migliori con mio papà, ci aveva lasciati prima che compissi 8 anni, non è stato parte della mia vita durante l’adolescenza, l’ho visto ogni tanto ma è stata un’esperienza strana cercare di conoscerlo.
Quando sono andata all’università alle Hawaii nel 2003 ho fatto il mio primo saggio di foto sui senzatetto. Ho visto me stessa in molte persone per strada e ho visto la lotta delle persone che non hanno un luogo da chiamare proprio. Da bambina ho sempre voluto una casa permanente, ma dopo la separazione dei miei genitori mi sono trasferita spesso.
Quel giorno, tre anni fa, mia nonna mi ha chiamata “tuo papà è malato, c’è qualcosa che non va nella sua testa”. Lei parla coreano e non capivo bene cosa intendesse, ma sono andata a vedere. Erano anni che non lo vedevo e sono rimasta sconvolta. Non aveva preso le medicine per la schizofrenia, si stava deteriorando fisicamente perché non si curava.
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