Quel giorno eravamo in ritardo, quindi decisi di lasciare Marta di fronte alla porta dell’ospedale mentre io avrei continuato a cercare parcheggio. Quando arrivai in ginecologia, Marta era già dentro, distesa sul lettino. Era un’ecografia per le gravidanze a rischio, quindi particolarmente lunga e approfondita. Io la vivevo con estrema ansia. Non tanto per il sesso, quanto per avere la certezza che fosse tutto a posto. Il dottore, però, non si lanciava in commenti, riducendo quel momento così importante in un lungo elenco freddo e sterile di parti anatomiche.
“Questo è il cuore, queste le braccia, qui ci sono i polmoni…”
Che ci fosse tutto, era una cosa che mi rincuorava molto, ma non capivo perché non dicesse che tutto funzionava alla perfezione. Ero felice, naturalmente, ma c’era questa piccola ombra di ansia che occupava la mia testa.
“Ma funziona tutto? Diccelo, cavolo!” pensavo dentro di me mentre stringevo la mano a Marta, distesa su lettino che cercava con la testa di guardare quel monitor scuro pieno di scritte e disegni bianchi incomprensibili.
“Bene! Abbiamo finito!”
Silenzio. Il mio e di Marta era di stupore. Ma come, tutto qui, non aggiungi niente? Sta bene? Sta male? Gelido dottore senza cuore, non pensi sia il caso di rincuorare e tranquillizzare due genitori apprensivi che stanno facendo un’ecografia per una gravidanza A RISCHIO?
Silenzio. Quello del dottore era di attesa.
“È la prima volta che non mi chiedono se si vede il sesso” esordisce lui.
“In realtà, vorremmo prima sapere se va tutto bene” rispondo io.
“Si, si, tutto a posto. È sano come un pesce”
Un sospiro di sollievo e un sorriso a Marta, che ora aveva la mia stessa espressione rilassata. Ma perché non lo hai detto prima?!
“Allora volete saperlo?” prosegue il dottore.
“Beh, se si riesce a vedere…” chiedo io educatamente.
“Certo che si vede, e anche bene!”. Questo atteggiamento è comune durante molte ecografie. I dottori credono che tutto sia chiaro come uno specchio d’acqua limpida. In realtà, per noi genitori, ansiosi, emozionati, spaventati, insomma con una gamma di emozioni che ci esplode dentro, quel monitor che illustra il nostro bambino è come una lavagna a una lezione universitaria di trigonometria per degli studenti delle elementari: assolutamente incomprensibile. Ma credo che questo atteggiamento non cambierà mai. Possiamo solo annuire con la testa e chiedere maggiori spiegazioni.
“È…(pausa teatrale per fare salire la suspence)…un maschio!”
Io e Marta avremmo tanto voluto una femmina. In qualche modo, ne eravamo convinti. Addirittura erano quattro mesi che discutevamo sul nome da dare alla bambina. Sentirsi dire che era un maschio, fu un po’ uno shock. Ma poi riguardai ancora quel monitor incomprensibile dove però sapevo che c’era raccontato mio figlio e pensai: “L’importante è che stai bene!”. Tutto il resto non contava più. Per Marta invece fu un po’ più dura. Arrivati in macchina mi guardò con gli occhi lucidi e mi chiese un momento di silenzio. Voleva incamerare la notizia. Fece due lacrime e poi mi guardò sorridente: “Me lo sentivo che era maschio. Però non ha importanza. Basta che sta bene.”
Ci abbracciammo e guardammo la foto del nostro bambino in 3D: un ammasso di sabbia bagnata con piccole braccia e gambe e un enorme testone. Assolutamente bellissimo!
E voi unigenitori che ricordo avete dell’ecografia morfologica?
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