Per questo motivo il noto The Lancet ha lanciato una nuova serie di articoli intitolati: Prevenire le morti in utero evitabili, sottolineando che il 90% dei casi potrebbero essere evitati.
La serie si compone in diversi articoli a carattere scientifico, 4 commenti e 2 report realizzati con il contributo di 216 autori e commentatori provenienti da 43 differenti Paesi.
Un contributo veramente ingente per un problema che va trattato con decisione.
Nel 2014 l’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito un obiettivo di meno di 12 morti endouterine ogni 100 nascite in ogni Paese entro il 2030. Mentre 95 Paesi hanno già raggiunto questo obiettivo, altri 56 devono ancora farlo.
Dal momento che anche l’Italia, nonostante sia un un Paese sviluppato, presenta anch’essa casi di morte in utero che potrebbero essere evitati, l’Associazione CiaoLapo Onlus di cui Claudia Ravaldi è fondatrice, ha organizzato un lancio italiano di questa serie di articoli presso l’Ospedale di Careggi, insieme al professor Valdo Ricca e al dottor Federico Mecacci, ginecologo, parlandone poi su Quotidiano Sanità.
Nel mondo ci sono 2,6 milioni di morti in utero ogni anno, che avvengono nei Paesi a medio o medio reddito (98%):
La metà di queste morti avviene durante il parto (1,3 milioni), alcune nelle strutture sanitarie, altre durante il parto in casa (42 milioni di donne partoriscono in casa, particolarmente in Asia e Africa).
Il 90% delle morti avviene nell’ultimo trimestre, in Italia, il tasso di morte in utero è intorno a 3 su 1000, una gravidanza su 350, in pratica 6 casi al giorno.
Come si evidenzia dal grafico qui a fianco l’Italia ha un tasso intermedio tra i Paesi Sviluppati:
Sicuramente il nostro Paese può fare di più per prevenire questi casi.
Il contraccolpo psicologico sulle famiglie è evidente. Il 30% delle donne che affronta questa dolorosa esperienza si ammala di depressione post partum. Anche chi assiste queste donne ha dei contraccolpi, oltre a senso di fallimento, rabbia e tristezza, si vive una situazione di angoscia dovuta a paura di controversie legali o richiami disciplinari.
I costi diretti di una morte in utero sono dal 10 al 70% più alti di quelli di una nascita fisiologica. La maggior parte dei costi vengono sostenuti dai genitori, come le spese per il funerale, la sepoltura, la cremazione. I genitori inoltre devono assentarsi dal lavoro. Secondo le statistiche a un mese dalla morte del figlio i genitori lavorano al 26% del loro normale standard, arrivando al 63% dopo 6 mesi.
Lancet preme sul fatto che le persone che assistono le famiglie in questo momento doloroso potrebbero ridurre in modo significativo i costi psicologici del lutto, sostenendo le donne nel tenere in braccio e nella creazione dei ricordi. Tutti coloro che lavorano in ambito sanitario dovrebbero avere una formazione riguardante il rispetto del lutto e su come loro stessi possano ricevere sostegno dopo l’evento.
Migliorare le cure prenatali alle donne è sicuramente un modo per prevenire questo evento luttuoso.
L’analisi Lives Saved Tool ha sottolineato che aumentando gli interventi di provata efficacia prenatale e intraparto dei 75 Paesi più colpiti potrebbe prevenire 823 mila morti in utero, 1114000 morti neonatali, 166 morti materne ogni anno.
Ci sono 4 passi per garantire una cura soddisfacente:
Grazie a tutto questo si realizza il “quadruplo guadagno” che si ottiene dagli investimenti finanziari che i governi e donatori fanno per la salute.
Le morti in utero non sono registrate in tutti i Paesi e quando lo sono, avvengono da età gestazionali diverse, questo rende difficile tenere il conto di tutti i morti effettivi. La proposta di The Lancet è quella di istituire dei registri per le morti materne, le morti neonatali ed endouterine, riservando attenzione alle indagini.
La società, in generale, ignora un lutto di questo genere. Esso in pratica viene negato da tutti, dalla società, dai famigliari, dai sanitari, perché si tratta della morte di un bimbo non ancora legittimato. Secondo un sondaggio di The Lancet 3503 genitori afflitti da questo lutto hanno dichiarato che secondo la loro comunità dovevano dimenticare in fretta e provare ad avere un altro piccino. Per The Lancet il lutto andrebbe invece compreso e ascoltato.
Le donne che hanno vissuto questa esperienza si sentono stigmatizzate e allontanate dalla società, a volte sono addirittura sottoposte ad abusi e violenze. Si vorrebbe quindi promuovere una maggior comprensione e consapevolezza da parte delle comunità e degli operatori sanitari.I genitori quindi devono lavorare a contatto con gli operatori sanitari per ridurre lo stigma sociale che ancora pesa sulle mamme.
Per questo motivi tutti i Paesi devono lavorare per migliorare la prevenzione della morte in utero e ottemperare agli obiettivi previsti per il 2030:
Unimamme a voi è successo o conoscete qualcuno che ha attraversato questa dolorosa esperienza? Come l’avete vissuta? Che tipo di supporto avete o hanno ricevuto?
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