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L’età più difficile: non è né l’infanzia né l’adolescenza secondo le mamme

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Francesca Nicoletti

Crescere i figli è un compito davvero impegnativo, d’altronde un antico adagio dice che ‘il mestiere del genitore è il più difficile al mondo’ molte volte, poi, tanti genitori si sentono impreparati e incapaci di gestire alcune situazioni tanto che un’esperta in genitorialità ha dato alcuni consigli per riuscire a gestire lo stress quotidiano.

Ma qual è il momento più difficile nella crescita dei figli? Probabilmente abbiamo sempre creduto che la risposta fosse “i primi anni“, ma non sembra essere quella giusta secondo alcuni ricercatori.  Ecco cosa sostengono gli studiosi.

L’età più difficile da gestire per i genitori secondo uno studio

Un recente studio condotto presso l’Università dell’Arizona, pubblicato anche su una rivista di psicologia, Developmental Psychology, ha scoperto che il momento più stressante per i genitori, e forse un po’ di più per le mamme, è quando i propri figli frequentano la scuola media.

Suniya Luthar, una degli autori della ricerca, si è detta sorpresa nello scoprirlo poiché credeva che l’età più critica fosse quelle dell’adolescenza, ovvero momento in cui i ragazzi frequentano le scuole superiori e non invece, come poi scoperto, la preadolescenza.

Lo studio è stato condotto su oltre 2.200 mamme (delle quali oltre l’80% diplomate o laureate, quindi con un elevato grado di istruzione) con bambini di diverse età e quindi frequentanti diverse scuole.

I ricercatori hanno notato come le madri di figli unici che frequentano la scuola media hanno riportato i più alti livelli di stress, più momenti di solitudine e di vuoto, nonché i livelli più bassi di soddisfazione di vita e di appagamento.

Viceversa, invece, le madri di neonati e di adolescenti sono risultate essere le più soddisfatte.

Nei ragazzi preadolescenti, con un’età compresa tra gli 11 e i 14 anni, avvengono tutta una serie di situazioni nuove:

  • gli ormoni impazziscono,
  • il corpo cambia,
  • cambia il modo di pensare

e si ritrovano tra l’incudine e il martello, ovvero tra il desiderio di essere indipendente ma sentendosi ancora dipendente da mamma e papà.

È facile, in questo turbinio di emozioni, cedere alle pressioni dei coetanei che conducono comportamenti a rischio, come la sperimentazione di droghe e alcol e questo provoca ulteriore stress ai genitori che sentono, in qualche modo, perdere la loro autorevolezza.

L’altra autrice della ricerca, Cynthia Tobias, che ha intervistato centinaia di studenti delle scuole medie per conoscere le loro emozioni e i loro disagi ha, poi, aggiunto: «Per un sacco di genitori, è frustrante da un giorno all’altro sentirsi rispondere ‘Lasciami in pace’, ‘Non chiedermi niente’, ‘Lasciami fare a modo mio’ e frasi del genere. È un po’ come svegliarsi in compagnia di un alieno. Fino al giorno prima c’era un bambino che amava le coccole e che aveva bisogno delle approvazioni continue di mamma e papà e, tutto a un tratto, lo stesso bimbo diventa sfuggente».

I maggiori conflitti nascono quando i genitori non si rendono conto i loro figli stanno iniziando a vedere se stessi come dei giovani adulti e quando i genitori continuano a trattarli come se avessero ancora 8 o 9 anni.

Le autrici della ricerca, e anche altre donne che hanno scritto dell’età critica dei ragazzi che frequentano la scuola media, ci esortano a non demordere e a non farci annientare dalle risposte poco carine ma di affiancarli nella crescita. Di non assillarli con le domande ma di far notare loro la nostra presenza e il nostro supporto.

Michelle Icard che ha lavorato con i ragazzi delle scuole medie e che ha anche scritto un libro sulla scuola media dice che sarebbe cosa buona, per i genitori, conoscere quello che succede a scuola parlandone magari con i genitori degli altri ragazzi e condividendo le esperienze.

L’autrice dice «Vedo queste mamme e leggo sul loro volto il sentirsi perse. Sono altamente stressate. Sono nervose. Non sanno cosa fare». La condivisione potrebbe, dunque, rendere più leggero questo momento.

Un altro consiglio che dà Michelle Icard è quello di ascoltare i propri figli senza fare smorfie con il viso, perchè ciò potrebbe irrigidirli e farli chiudere a riccio. Non corrucciare la fronte e storcere la bocca. Per di più suggerisce di non sparare a zero quando i ragazzi portano dei brutti voti a casa ma piuttosto incentivarli recuperare gli stessi voti.

Ebbene tutto molto bello e facile da dirsi ma metterlo in atto non è per nulla semplice. Così come dicono le stesse autrici della ricerca bisognerebbe avere dei supporti utili a comprendere cosa fare e cosa non fare. Cosa dire e cosa non dire. Una sorta di scuola parallela dove ad apprendere sarebbero proprio i genitori.

Io ho tre figli e la prima frequenta la scuola media. Quanto scoperto presso l’Università in Arizona, corrisponde a quello che io vivo quotidianamente. Gli stessi insegnanti, lo scorso anno, ci hanno messo di fronte a questa verità dicendo, durante la prima riunione di classe, che da lì a poco avremmo visto i nostri figli cambiare. La metamorfosi non ha tardato a manifestarsi:  ad esempio, i bambini che avevano bisogno di essere accompagnati fino all’androne della scuola, da un giorno all’altro, hanno voluto andare a scuola da soli.

Io in quella occasione ho sentito ‘strappare’ il cordone ombelicale che ci legava.

Si sentono grandi ma grandi non sono. Le preoccupazioni sono tante. Troppi i pericoli nascosti dietro l’angolo. Io non riesco a fare la vaga quando prende un butto voto, gliene faccio una colpa perché le ripeto che il suo unico compito è quello di studiare e non può e non deve studiare con superficialità. Certo, la prossima volta che prenderà un’insufficienza (mi auguro non accada!) cercherò di usare un po’ più di diplomazia e cercherò di non fare smorfie con il viso come suggerisce Michelle Icard.

E voi unimamme avete figli preadolescenti?

Vi ritrovate in quanto scoperto dai ricercatori dell’Arizona? Condividete le vostre esperienze, le esperte dicono sia una cosa utile.

Francesca Nicoletti

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