I primi giorni all’ospedale con Marta e Giacomo furono relativamente semplici. Ero spaventato e felice allo stesso tempo, ma la maggior parte delle volte prevaleva la gioia. Le infermiere davano un grande aiuto e non eravamo mai soli a doverci occupare di quella nuova vita. Cercavano di darci tutti i consigli e gli insegnamenti che potevano servirci dall’uscita dell’ospedale in poi.
C’era la paura di dover imparare cose nuove, gestire una vita così fragile ed essere all’altezza del compito ma, nei momenti d’intimità, sognavamo cosa avremmo fatto una volta usciti da lì. Ci sentivamo al sicuro. Inoltre la visita di amici e parenti rendeva il corridoio del nido come il salone di una grande festa. Tutti i giorni, quell’ora di incontri mi faceva sentire così orgoglioso. Tutti che facevano complimenti, portavano regali e ridevano felici. Insomma, ti illudi che la vita da genitore possa essere realmente e costantemente così. Fino a quando non torni a casa.
La vita da neo genitore passa tra gioie e dolori. Quando chiedi a una coppia come va la vita dopo il parto, solitamente le risposte sono due: o va tutto benissimo o va tutto malissimo. Bugiardi. In realtà, la vita da neo genitore è un mix tra le due cose, un percorso costellato di brevi istanti, tappe intermedie, singoli eventi sia positivi che negativi. Diventa complicato poter giudicare quell’enorme turbinio di eventi che è diventata la vostra vita da quando è arrivato un figlio, con una semplice scelta di tipo binario, bene/male. Ci sono troppi micro avvenimenti che spostano l’ago della bilancia in continuazione, costringendovi a tenere sempre in considerazione solo il qui e l’adesso. Abbastanza complicato. Almeno, per me e Marta era così.
Siamo stati fortunati perché Giacomo era relativamente tranquillo. Ha sempre dormito abbastanza e non ha mai fatto storie per mangiare. Quando però era nervoso o c’era qualcosa che lo faceva stare male, i muri tremavano dalle urla. Ogni colica che aveva, era una stretta al cuore.
Da padre, era mio compito proteggerlo e quando la notte lo dondolavo per la camera da letto cercando di fargli passare il dolore, riuscivo solo a pensare: “Non ti sto aiutando”. Le prime volte che cambiavo un pannolino, che gli davo da mangiare o che cercavo di farlo addormentare, non mi sentivo per niente all’altezza. Sfiduciato e scoraggiato, cercavo comunque di dare il massimo, destreggiandomi come potevo tra il nuovo ruolo di padre ma anche i compiti di marito, per essere vicino a Marta e non lasciarla sola. Un compito ugualmente importante. Inevitabile, a causa della stanchezza, dello stress e del senso di inadeguatezza, buttarsi giù di morale. Inizi a farti delle domande, chiederti se sarai mai in grado di essere un buon padre. Tutti i sogni che facevi sulla vita con un figlio, ti sembrano vane illusioni e iniziano a cadere a pezzi. Sei l’uomo di casa, dovresti portare avanti tu, quella famiglia. Dovresti esserne lo scudo contro le difficoltà del mondo esterno. Invece non riesci neanche a far stare bene quella piccola vita così importante. Vorresti scappare. Tornare semplicemente a quando dovevi pensare solo a te stesso. A quando non avevi quelle responsabilità. A quando non eri padre.
Poi accade un miracolo. Un minuscolo, insignificante momento che rivoluziona la visione che ha di te, del mondo che ti circonda e della tua vita. Un giorno come tanti, forse più tranquillo del solito, ho messo Giacomo nel nostro letto e mi sono steso accanto a lui. Ci siamo semplicemente guardati negli occhi. In quell’istante tutte le fatiche, le arrabbiature e i problemi sono spariti in un istante e mi sono perso dentro quella piccola e immensa creatura. Non potevo fare altro che sorridere perché ero felice. Perché stavo bene.
Ogni genitore ha il suo momento. Quell’istante in cui la maternità o la paternità acquista un senso completo e il passato cambia di prospettiva. Una risata, una manina posata delicatamente sul braccio, la testa che dolcemente vi si appoggia sulla spalla. Per me è stato quel lunghissimo sguardo con Giacomo. Una sensazione che, anche oggi continua a tornare ogni volta che io e lui, distesi sul letto l’uno accanto all’altro, ci guardiamo negli occhi.
Penso che negli occhi dei bambini sia riflessa la bellezza del mondo. Perciò, quando mi sono specchiato dentro quei meravigliosi vetri lucidi, mi sono sentito migliore. In qualche modo, quegli occhi riescono a trasmettermi quanto sono importante per lui, perché sono il suo mondo. In un bellissimo e meraviglioso scambio di sguardi, la vita si ferma e mi rendo conto quanto amo mio figlio. Un amore differente da quello che provo per Marta, frutto in qualche modo di scelte ed esperienze condivise. Un amore ugualmente grande e travolgente, ma privo di ogni fondamento. Amo Giacomo perché amo Giacomo. Amo Giacomo perché è nostro figlio.
E per voi unigenitori qual è stato il momento?
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