Questo tipo di atteggiamento lo avevo percepito già quando io e Marta eravamo ancora in attesa, parlando delle nostre paure con altre coppie già con bambini, alla timida ricerca su rassicurazioni e conforto sul parto e sul successivo cambiamento familiare. Le risposte solitamente andavano in due direzioni: o estremamente rassicuranti o estremamente scoraggianti.
Era un tipo di atteggiamento che avevo già riscontrato con i miei cognati, quando parlavo con loro della mia decisione di entrare in sala parto. Quelle, però, erano risposte riferite a un fatto specifico, mediato molto dall’intensità del momento e dall’esperienza personale che avevano vissuto. Dopo la nascita, invece, si parla di un argomento più ampio e generico: la vita da genitore.
Le due categorie permangono e le risposte sono tra le più varie.
I sognatori
Per questa tipologia di genitore, tutto va bene, avere un figlio è una gioia dopo l’altra, sembra di vivere in un sogno costante. Le frasi più utilizzate sono:
Sembra quasi vogliano dimostrare al mondo di possedere una famiglia perfetta sotto ogni punto di vista. Per loro non esistono problemi, non hanno avuto difficoltà, non c’è mai stato un attimo in cui non avessero la situazione sotto controllo o non sapessero esattamente cosa fare.
Personalmente, credo che questa tipologia di coppie tendano ad abbandonare le vecchie amicizie, specialmente se ancora “sprovviste” di un figlio, e inizino a circondarsi di coppie perfette come loro. Un branco che dia forza al loro sogno.
I nottabuli
In contrapposizione, i nottambuli vedono tutto nero. Sono quelli che non dormono mai, che non riescono a fare più nulla da quando è arrivato un figlio, che ne passano sempre di tutti i colori. Le frasi che usano sono:
Queste coppie sono la materializzazione della sofferenza e del dolore, perché credono di essere genitori perfetti solamente se dimostrano di portare a fatica la figliolanza, come una croce sulle spalle.
Ogni conversazione inizia con “Non sai cosa mi ha combinato!”. Sono più egocentrici dei sognatori e tendono a voler essere al centro dell’attenzione nelle conversazioni, finendo poi per isolarsi dal mondo, così da poter portare il “peso” di essere genitori, da soli.
Quando io e Marta incontravamo le coppie di queste due tipologie, le reazioni erano giustamente differenti.
Questi almeno erano i sentimenti che provavamo alla nascita di Giacomo. Ora, che sono già passati 10 mesi, mi rendo conto che siamo caduti anche noi in questo gioco strano.
Essere genitore ha i suoi momenti felici e i suoi momenti complicati, bisogna prenderne atto. Noi ci stiamo provando. Altre coppie di amici ora sono in attesa e ci chiedono pareri e opinioni. Cerchiamo di spalleggiarci a vicenda, di andare a completare il racconto dell’altro. Se prima negavamo la versione opposta, ora la integriamo, ammettendo che essere genitori ha dei momenti in cui si sente persi e soli, ma anche dei momenti meravigliosi, in cui ci perdiamo nello sguardo di Giacomo. Questo atteggiamento non ci rende meno capaci agli occhi degli altri. In realtà abbiamo anche smesso di sentirci in obbligo di mostrare la nostra attitudine ad essere genitori. Questo privilegio è solo per noi stessi e, naturalmente, per Giacomo.
PS Prima di concludere, voglio raccontarvi un aneddoto capitato a mia moglie.
Giacomo aveva pochi mesi e Marta, visto che era un caldo pomeriggio d’estate, decide di andare a fare una passeggiata con lui. Incontra una sua vecchia amica, già mamma da un paio di anni e naturalmente, dopo i soliti convenevoli, viene fatta la fatidica domanda: “Allora come va?”. Marta, raggiante e sognatrice quale era, non si lamenta. Anche perché Giacomo aveva dimostrato fin da subito, fortunatamente, che gli piaceva dormire, come al papà! Aveva preso un ritmo regolare e quindi riuscivamo a dormire 3-4 ore prima di dovergli dare da mangiare. Di questo ci sentivamo molto fortunati.
Quando l’amica sente questi particolari, sentenzia: “Tu non sai proprio cosa vuol dire far fatica con i figli.”
…
Marta rimase molto colpita da questa affermazione. Come se la maternità passasse obbligatoriamente attraverso la sofferenza. Aveva incontrato una nottambula.
Da quel giorno, cerchiamo di non giudicare più come una persona vive il suo essere genitore.
Voi unigenitori, come vi relazionate con gli altri? A quale categoria pensate di appartenere? E conoscete più “nottambuli” o “sognatori”? Fatecelo sapere.
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